venerdì 3 ottobre 2014

La nascita delle religioni: capitolo 1 del libro ' Gesù, il Che Guevara dell'annozero '

di Alessandro De Angelis



Nel primo volume della trilogia Oltre la mente di Dio abbiamo descritto le dinamiche che portarono alla catastrofe narrata da numerose culture e nota come “diluvio universale”, catastrofe che causò la quasi totale estinzione del genere umano dovuta alla caduta di un asteroide 12.900 anni or sono.
Da quando la Terra ha iniziato ad ospitare le prime forme di vita, è stata soggetta a numerose catastrofi, quali esplosioni di supervulcani, ere glaciali, cadute di asteroidi con impatti devastanti che portarono, in più di una occasione, all’estinzione di numerose specie viventi – come i dinosauri 65 milioni di anni fa, e mammuth, castori giganti, tigri dal dente a sciabola, lupo famelico nell’ultima era glaciale causata dalla caduta dell’asteroide di cui sopra.
Noi ci limiteremo a considerare le ultime due grandi catastrofi naturali – la caduta dell’asteroide che generò il mito del diluvio universale di 12.900 anni fa e quella dell’esplosione del supervulcano a Toba in Indonesia di 74.000 anni fa – al fine di verificare le eventuali similitudini che porteranno l’uomo a concepire la nascita dei primi due dei: il dio Sole e la madre Terra.
Di seguito le prime trenta pagine del libro di Alessandro De Angelis, Gesù il Che Guevara dell'Anno Zero.

Il dio Sole e la madre Terra

L’esplosione generata dal supervulcano a Toba sprigionò nell’atmosfera 2.800 Km3 di cenere che si sparsero nell’atmosfera oscurando il sole: un cataclisma epocale. Le colonne di cenere si innalzarono per settimane e per decine di chilometri nell’atmosfera, facendo sì che il diossido di zolfo, unendosi con il vapore acqueo, formasse degli “specchietti” su cui si riflettevano i raggi solari. Non arrivando più calore sulla Terra, essa iniziò a raffreddarsi: si formarono tempeste di neve che imbiancarono il pianeta, la neve si trasformò in ghiaccio, l’anidride solforosa, cadendo a terra, rese sterili i terreni e avvelenò le acque; la temperatura degli oceani si abbassò fino a 5-6°C. Il risultato fu un’era glaciale che si protrasse per oltre mille anni e che fece sì che di 60-70 milioni di individui che popolavano il pianeta rimanessero solamente 1000-2000 superstiti in un piccola zona dell’Africa orientale. Questi sopravvissuti ripopolarono in seguito i continenti – come è risultato dagli studi degli scienziati del “Genographic Project” attraverso l’analisi dei campioni di DNA presi da popoli diversi in ogni angolo del pianeta.
Anche se con un meccanismo diverso, la caduta dell’asteroide di 12.900 anni fa portò lo stesso risultato: l’oscuramento del Sole da parte dei detriti dell’asteroide che coprirono l’intera atmosfera ed il sorgere di una nuova era glaciale. Ciò condusse ad una drastica diminuzione della popolazione mondiale e a una perdita dell’eventuale tecnologia che l’uomo aveva acquisito nell’intervallo di tempo compreso tra i due catastrofici eventi. Ciò che a noi più interessa è cercare di capire, da un punto di vista antropologico, le conseguenze che ebbero sui superstiti queste immani catastrofi,
che portarono in seguito alla nascita dei primi due dei.
Immaginiamo questi uomini che videro improvvisamente il Sole oscurarsi, le temperature abbassarsi drasticamente nel giro di pochi giorni, tempeste globali che imbiancarono la maggior parte della superficie terrestre con la conseguente perdita – quasi totale – della vegetazione del pianeta, che determinò la morte degli animali erbivori prima, dei carnivori poi, e da ultimo anche quella della specie umana. Questa drastica degenerazione dell’habitat circostante portò a lotte intestine tra i vari clan prima, ed infine tra uomo e uomo, al fine di poter racimolare il poco cibo rimasto a disposizione o le carcasse degli animali deceduti. Questi uomini videro morire genitori e figli e dovettero darsi a battaglie cruente tra di loro per poter sopravvivere; riuscirono tuttavia a comprendere – raccontandolo in seguito ai posteri – che la causa di tutto ciò fu l’oscuramento del Sole, il quale, attraverso il suo calore, dava vita e sostentamento agli uomini e agli animali grazie al processo di fotosintesi clorofilliana, che permetteva il fiorire della vegetazione.
L’uomo capì quindi che il Sole, attraverso il calore, era portatore di vita per l’uomo, proprio come la Terra, la quale, attraverso la vegetazione, permetteva il sostentamento di tutte le specie animali, uomo compreso.
Questi racconti, con ogni probabilità, rimasero impressi ai posteri dei superstiti, che, per cercare di far sì che questi infausti eventi non si ripetessero, resero vive nelle loro menti queste due entità – il Sole e la Terra – affinché il primo sorgesse giorno dopo giorno senza più oscurarsi e la Terra continuasse ad essere fertile e feconda per la raccolta e la coltivazione. Iniziarono quindi a vivificare queste due entità nel proprio pensiero per potersi relazionare ad esse attraverso preghiere ed offerte, creando una nuova figura mediatrice tra l’uomo e questi nuovi dei: gli sciamani e gli stregoni. Quest’ultimi si ingraziavano gli dei attraverso canti rituali ed ossessivi, preghiere ed offerte. Ovviamente gli dei non mangiavano, ma gli stregoni sì; questa nuova funzione permise loro di esentarsi dai rischi inerenti le battute di caccia e di raccolta di cibo che gli altri uomini svolgevano in gruppo per cercare di limitarne i pericoli. Difatti circondare un’animale al fine di ucciderlo, oppure reagire in gruppo con utensili primitivi all’attacco dei feroci predatori carnivori, permetteva loro, nella maggior parte dei casi, di avere la meglio e di prevalere sulle altre specie animali. Così, mentre gli sciamani si ingraziavano gli dei, attraverso riti propiziatori e preghiere, affinché tutti tornassero illesi dalle battute di caccia, una parte della cacciagione veniva data loro come compenso per la protezione degli dei.
Il ripopolamento dell’habitat, la nascita di nuovi villaggi, che col tempo diverranno poi città ed infine stati, porteranno alla nascita di numerose altre divinità, come il dio della caccia, della pesca, dei fenomeni atmosferici e via dicendo.
Con questo escamotage sciamani e stregoni elusero i pericoli derivanti dalla caccia, prendendo per sé parte del frutto di questa, fingendo che fosse destinata agli dei che ovviamente, a differenza loro, non avevano bisogno di nutrirsi.
Ma cosa sarebbe successo – e con ogni probabilità successe – se un giorno qualcuno fosse tornato ferito da una battuta di caccia, qualcun altro menomato nella battaglia, o altri in fin di vita? Gli uomini avrebbero potuto mettere in discussione l’operato mediatico di sciamani e stregoni o addirittura dubitare dell’esistenza stessa degli dei.


La nascita del peccato

È a questo punto che le figure mediatrici inventarono il peccato come escamotage a questa evenienza. Se qualcuno fosse rimasto ferito o ucciso, gli sciamani avrebbero attribuito la colpa agli uomini, rei di aver pregato poco o donato poche offerte agli dei, attirando così la collera divina. Ed ancor di più: se essi non avessero pregato con più ardore ed aumentato le offerte, il Sole sarebbe tornato ad oscurarsi, la Terra non avrebbe prodotto più cibo, perché gli uomini avevano peccato: avevano osato mettere in discussione l’esistenza degli dei o la funzione mediatrice degli sciamani.
Questa coercizione psicologica funzionò bene a tal punto che, quando furono costruite – o per meglio dire ristrutturate – le piramidi in Egitto, i sacerdoti egiziani poterono far leva su di essa per intimorire i lavoratori dediti alla costruzione (e non agli schiavi, come è stato talvolta sostenuto), paventando il rischio che, se la piramide non fosse finita prima della morte del faraone, il Sole sarebbe sprofondato nel Nilo, facendo piombare l’uomo e la Terra nell’oscurità più totale e decretando la loro morte.

La nascita delle prime civiltà stanziali

Dopo la catastrofe del “diluvio universale”, l’uomo riscoprì l’agricoltura, inizialmente nelle alte zone montuose: sebbene non fossero le più indicate per questa attività, furono le sole a salvarsi dalla catastrofe, non essendo colpite dagli enormi tsunami che si sollevarono dopo che grossi frammenti dell’asteroide caddero nei mari, rendendo, con l’acqua salata, sterili i terreni costieri e le foci dei fiumi dove l’uomo abitualmente sostava e viveva. Con il passare degli anni, quando queste zone si bonificarono, l’uomo ritornò nelle zone costiere e nei delta dei grandi fiumi, quali il Nilo, il Tigri e l’Eufrate. Sorsero quindi le prime comunità di villaggi stanziali dediti alla raccolta e all’allevamento di ovini e bovini nei dintorni del villaggio. Il surplus di raccolta del cibo (grano in primis) veniva stipato in magazzini per poi essere ridistribuito durante i periodi di magra all’intero villaggio.
Ma non tutti si erano convertiti all’agricoltura: il nomadismo esisteva ancora in maniera diffusa. I nomadi, aggregatisi in bande, spesso attaccavano i villaggi depredando i magazzini, uccidendo gli abitanti e violentandone le donne. Ben presto furono eretti i primi muri perimetrali a difesa dei villaggi che, ingrandendosi a dismisura, divennero città, e nacquero così i primi eserciti di difesa.
Quando i predoni nomadi attaccavano le città, venivano quasi sempre sconfitti e fatti prigionieri, al fine di essere usati per i lavori più umili e faticosi. Nacquero così i primi schiavi; le città, ingrandendosi sempre di più, iniziarono a specializzarsi in lavori quali la cesellatura, l’edilizia, i sistemi idrici e fognari, la costruzione di armi e altro ancora.

Lo sviluppo delle civiltà gilaniche

Un capitolo a parte meritano le civiltà “danubiane” o “gilaniche”, che vissero per circa cinquemila anni strutturate in aggregati di villaggi senza conoscere alcuna forma di guerra, religione e potere.
Cinquemila anni di storia volutamente dimenticati dai gestori della cultura scolastica, soprattutto universitaria, in quanto scomodi da giustificare per la sopravvivenza di una cultura del potere che ha fondato le sue basi sulle discriminazioni economiche e religiose.
Il neologismo “gilania”, coniato dalla storica e archeologa Riane Eisler, deriva dalle parole greche gun» (gunè) “donna” e ¢n»r (anèr) “uomo” (la lettera “l” tra i due ha il duplice significato di “unione” – dal verbo inglese to link “unire – e di “liberare” – dal verbo greco lÚw (lùo) che significa “sciogliere”, “liberare”). Una società basata sull’uguaglianza dei sessi e sull’assenza di gerarchia e di autorità, le cui tracce si riscontrano nelle comunità del paleolitico superiore ed in quelle agricole del neolitico (8.000 – 2000 a.C.). È quindi falso l’assioma di storici ed antropologi secondo cui l’inizio della civilizzazione sarebbe stato direttamente proporzionale alla diffusione della violenza e delle guerre. Questi studi sono stati condotti soprattutto da archeologi e storici, tra cui Marija Gimbutas e Riane Eisler. Essi hanno dimostrato come, grazie al matrismo, per oltre cinquemila anni gli esseri umani abbiano vissuto in comunità egualitarie e pacifiche sino al 4.000 a.C., quando gli invasori Kurgan, in seguito ad una piccola glaciazione, si spostarono dal sud della Russia alla ricerca di zone più abitabili. Arrivati a contatto con queste civiltà, le distrussero con facilità attaccandole grazie ai cavalli (animali sconosciuti in quelle zone) e ad asce di ferro. Si passò quindi al dominio del patriarcato e alla nascita di gerarchie, classi sociali, autorità e le prime forme di religione.
È da notare che nello stesso periodo comparvero improvvisamente i sumeri con un sistema sociale basato sul patriarcato e con l’introduzione di una nuova forma di religione a struttura di potere piramidale. Difatti agli dei del pantheon veniva assegnato un numero corrispondente al loro grado di potere: al dio Anu, a capo del pantheon e padre degli dei Enki e Enlil, venne assegnato il numero più alto; sotto di lui c’era suo figlio Enlil, nato dall’unione di Anu con sua sorella, poi Enki, nato invece dall’unione di Anu con la sua concubina; il numero – e quindi il potere – decresceva nei figli e nella loro discendenza.
A parte questo, ci preme sottolineare il fatto che l’epiteto di Enlil era ILU.KUR.GAL, ovvero “signore della grande montagna”, così come suo figlio ISH.KUR, che significa “signore della montagna”. Difatti in sumero il glifo KUR indica “altura” o “montagna”, così come per il KUR dei KUR.GAN, ove il glifo KUR ha il significato di “altura”; segue la componente di sumero GANUN, accadico GANUNU, “luogo di abitazione”. Non siamo in grado di dimostrare con le prove archeologiche a disposizione che i Sumeri siano un ceppo distaccato dei Kurgan, ma di certo l’affinità etimologica dei glifi corrispondenti è significativa e rilevante, cosi come la loro comparsa nello stesso periodo dei Kurgan.
Le società neolitiche danubiane avevano per modello il culto della dea madre, non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, con un funzionamento egualitario e non violento. Queste società vivevano in un modello comunitario, come si evince dalla loro architettura e dalle cerimonie religiose, i cui costi erano a carico di tutta la comunità. Quando si compievano questi rituali, al centro sedevano i poveri e i deboli, che occupavano un posto d’onore, ed anche nei siti funerari non si sono riscontrate differenze legate al sesso o alla condizione sociale, né nessun altro tipo di gerarchie. Lo sviluppo tecnologico avvenne ugualmente, ma non fu utilizzato per creare differenze di valori, né per costruire armi o strutture religiose collegate a un qualsiasi tipo di potere politico-economico. Nessun ritrovamento di armi, né raffigurazioni di guerre e di conquistatori, nessuna traccia di sacrifici umani, di schiavitù o di manifestazioni religiose a carattere dominante.
Kurgan e Sumeri, al contrario, erano governati da classi sacerdotali e guerriere, che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra, ed erano organizzate su base gerarchica ed autoritaria con una volontà di potere e di dominio fortemente distruttrice verso gli altri popoli. Così come i Kurgan, successivamente anche gli invasori Hyksos, padri degli ebrei, invasero e conquistarono l’Egitto con i cavalli, animali allora sconosciuti, con carri ed armi tecnologicamente superiori. Un’unica linea di continuità conquistatrice e dominatrice: i Kurgan per ciò che concerne le tattiche e le strategie militari di queste popolazioni nomadi, e con i Sumeri per quanto riguarda l’aspetto religioso.
Ricordiamo che la prima volta in cui il dio degli Ebrei pronuncerà il suo nome sarà in Gn 17:1-2, dove afferma: “Io sono El Shaddai, cammina alla mia presenza e sii perfetto”. Il sostantivo El ha in ebraico il significato di “signore”, mentre Shaddai deriverebbe dall’accadico Shaddu, che significa “montagna”. Secondo questa interpretazione, El Shaddai, l’epiteto con cui viene chiamato Yahweh nella Bibbia, significava in origine “dio della montagna”; la validità di questa traduzione è confermata anche da numerosi passi biblici dove si evince come il dio adorato dagli Ebrei fosse un “dio delle montagne”. La ricorrenza di questo epiteto è testimoniata diverse volte nella bibbia, come nei Salmi e nel I libro dei Re, che riportano:

Ma i servi del re di Aram dissero a lui: «Il loro dio è un dio delle montagne; per questo ci sono stati superiori; forse se li attaccassimo in pianura, saremmo superiori a loro».

Dio ha scelto a sua dimora il monte Basan, il monte delle alte cime; il Signore lo abiterà per sempre.

Inoltre è proprio sul monte Sinai – scelto come dimora – che Yahweh consegnerà a Mosè le tavole della legge.
Come abbiamo dimostrato nel I volume della trilogia, Baal Hadad era El Shaddai/Yahweh, difatti Baal corrispondeva al generico attributo di “Signore”, mentre Hadad – evoluzione accadica del sumero ISH.KUR – significava “montagna”. A sua volta ISH.KUR era un dio sumero il cui nome era composto da un gioco di parole che deriva dall’unire l’accadico ISHA (signore) con la desinenza cananea ISH (montagna), che veniva tradotto in accadico con SHADDU, che si evolverà in ebraico in EL SHADDAI; come sopra detto il glifo sumero KUR significava invece “montagna”. Anche EN.LIL, padre di ISH.KUR, era caratterizzato dall’epiteto di ILU.KUR.GAL, che aveva il significato di “Signore della grande montagna”, epiteto molto simile a quello di “Cavaliere delle Nubi” attribuito a Baal nelle tavole ugaritiche e che ritroviamo per Yahweh nei Salmi dell’Antico Testamento:

Per sette anni possa Ba‘al essere assente,
per otto anni il Cavaliere delle Nubi!

Cantate, o dèi! Inneggiate, o suoi cieli!
Spianate la strada al Cavaliere delle Nubi!
In Yahweh gioite
ed esultate dinanzi a lui!

Era infatti nelle alte zone montuose che i temporali avvenivano più frequentemente insieme a tuoni e fulmini, con un maggior numero di addensamento di nubi.
Riassumendo, attraverso una traslitterazione e una evoluzione secolare, il “Signore della Montagna” fu traslitterato da Enlil ad Ishkur, da Ishkur a Baal Hadad e da quest’ultimo a Yahweh. Ben sapevano i padri degli Ebrei tutto questo, tanto che il dio Baal lo ritroviamo citato numerosissime volte nell’Antico Testamento, e laddove gli Assiri non riuscirono ad esecrare il loro tentativo di monoteismo su Baal ci riusciranno invece gli Ebrei attraverso la sua traslitterazione nel dio biblico Yahweh. Difatti sia Yahweh che Baal erano entrambi figli del dio Ilu, l’Ilukurgal o Enlil degli dei sumeri, che aveva come figli sia Baal che Yaw o Yam, da Yaw/el o signore Yaw nascerà il dio Yahweh che assorbirà sia l’epiteto di Baal “cavalcatore delle nubi”, sia la dea Asherah o Attiratu, moglie di suo padre Ilu, come risulta da un’iscrizione paleo-ebraica dell VIII sec a.C., dove si legge: “Ti benedico tramite Yahweh e tramite la sua Ašerah”.


Nelle fonti bibliche dell’Antico Testamento troviamo ulteriori conferme della convergenza di Ba’al su Yahweh, in quanto numerosi passi biblici testimoniano il passaggio dall’uno all’altro dio, come ad esempio nel caso di Giudici 6: 25, dove si può evincere come Israele tributava al dio Ba’al un culto già al tempo del giudice Gedeone.
Lo stesso giudice Gedeone porta inizialmente un nome, Ierrubaal, composto con quello del dio Baal, di cui in seguito distrugge l’altare tagliandone l’Asherah, per comando di Yahweh, tornando poi gli Israeliti in seguito a servire i Baalim e le Astarti.
Anche nel I libro di Samuele (7:4 e 12:10) si racconta che la casa d’Israele al tempo di questo profeta abbandona pentita i Baalim e le Astarti.
Ancora nel I libro dei Re, al capitolo 16, il Re Ahab di Israele edifica in Samaria un santuario e un altare di Baal, mentre nel 18° capitolo vengono presentati i profeti di Baal, sconfitti in una gara e poi fatti sterminare da Elia.
Al capitolo 22 troviamo ancora Baal servito da Ahazia Re d’Israele, mentre nel capitolo 10 del II libro dei Re viene presentata la strage dei fedeli di Baal sotto Iehu, annunciata da Elia, e si narra della distruzione del santuario di Baal in Samaria.
Ricordiamo che, quando gli invasori proto-Ebrei Hyksos invasero l’Egitto, importarono l’adorazione del dio Baal scegliendo il dio Egizio Seth, tra gli dei Egizi, per affinità elettive con il loro dio.
Fu solamente in seguito alla loro cacciata che cercheranno di imporre il monoteismo, traslitterando Baal in Yahweh, compresa la sua sposa Asherah.
Per questo motivo, in numerose attestazioni epigrafiche ritroviamo per Baal il medesimo epiteto attribuito a Yahweh nell’Antico Testamento, ovvero Adonay, attestato nella Bibbia con 439 ricorrenze.
In alcune di queste epigrafi ritrovate a Cartagine leggiamo: “Alla signora, a Tanit volto di Baal, e al Signore, a Baal Hammon, al quale è votato Adonibaal, figli d’Himilkat, figli di Baalhanno”.
Tanit era il corrispondente cartaginese della dea Astarte e Asherah, consorte di Baal; di fatto nell’iscrizione epigrafica possiamo leggere nomi come Adonibaal, dove a Baal viene attribuito uno dei più

importanti epiteti riferiti a Yahweh nell’Antico Testamento: Adonay, che in ebraico significherebbe “mio Signore”.
Il passaggio dal dio Baal a Yahweh non fu indolore per il popolo israelita, difatti al capitolo 17 del II libro dei Re leggiamo che i figli d’Israele “rigettarono tutti i precetti di Yahweh, loro Dio, e si fabbricarono simboli fusi, due vitelli, costruirono un’Asherah e si prostrarono davanti a tutta la schiera celeste ed adorarono Baal”.
Inoltre Baal era adorato anche nel Tempio di Gerusalemme, come viene confermato dalla riforma di Giosia (648-609 a.C.), ove si menziona la distruzione degli oggetti relativi al culto di Baal nel Sacro Tempio, nonché l’eliminazione dei sacerdoti che offrivano incenso a Baal.
Vorremmo però porre l’attenzione su un importantissimo passo che troviamo in Geremia 9:12, dove si parla degli Ebrei che “seguirono i Baalim che i loro padri fecero loro conoscere”.
Questa potrebbe essere la conferma che gli invasori Hyksos erano i padri degli Ebrei che nel 1750 a.C. annetterono l’Egitto al loro dominio, importando il loro dio Baal, in seguito traslitterato in Yahweh, facendogli assorbire inoltre le caratteristiche degli altri dei sumeri come Enlil, Enki, Ishkur, Marduk ecc..
Presso gli antichi Ebrei il culto di Baal era dunque tradizionale, ed aveva i propri santuari sia a Gerusalemme che in Samaria.
Sarà solamente in seguito, con la nascita del primo monoteismo, che molti Israeliti abbandonarono Baal facendolo convergere, con caratteristiche comuni, con Yahweh, il dio dell’antico Testamento ancora oggi adorato da cristiani, ebrei e musulmani.
Gli Ebrei furono gli ultimi a costruire il loro dio e gli ultimi a costruire il figlio di Dio, cioè quel Gesù che, come vedremo nei prossimi capitoli, fu creato sulla base di di un personaggio in carne ed ossa realmente esistito per essere divinizzato come l’ultimo soter e dio solare.
Come le società gilaniche, anche quelle essene (dove viveva Gesù) erano società dove le risorse erano distribuite in maniera eguale nella collettività a seconda delle esigenze dei singoli individui, tanto che, in un passo del Nuovo Testamento, Simon Pietro uccide due anziani coniugi, Anania e Zaffira, per aver venduto un loro terreno trattenendo di nascosto una parte del ricavato in denaro per sé.
Scovato l’inganno da Simon Pietro, vennero entrambi uccisi per opera dello spirito santo, che scoprirete poi essere una metafora per non far trasparire l’apostolo Pietro come un rivoluzionario senza scrupoli e sempre pronto con la spada. In ogni caso, ciò che si vuole evidenziare è che queste società, quando furono annesse all’impero, rifiutarono la tassazione forzata dei romani, e gli uomini ad esse appartenenti lottarono fino alla morte per contrastare il disegno di potere dell’impero romano.
Iniziamo ora a vedere il contesto storico in cui sarebbe vissuto l’uomo più famoso della storia di questo pianeta: un uomo fatto divenire icona, mito e divinità, dal nome di Gesù.



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