Quella che Antonio Guterres si appresta ad affrontare alla guida della segreteria generale delle Nazioni Unite è una sfida per molti aspetti proibitiva.
L’ex primo ministro portoghese dovrà infatti provare a far dimenticare il fallimentare doppio mandato del suo predecessore, il sudcoreano Ban Ki Moon, il quale soprattutto negli ultimi anni si è lasciato sfuggire di mano uno dopo l’altro tutti i dossier caldi della politica internazionale senza lasciare mai il segno: le guerre in Siria e Libia, la crisi in Ucraina, il deterioramento dei rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Russia.
Ma, soprattutto, Antonio Guterres dovrà dimostrare al mondo che l’Organizzazione che andrà a presiedere ufficialmente dal primo gennaio del 2017 ha ancora senso di esistere. E tra i primi appelli a cui dovrà rispondere ci sono quelli che lui stesso fino a poche settimane fa ha lanciato all’Occidente, in veste di capo dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sulla sciagurata gestione dell’emergenza dei migranti in fuga dai conflitti in Medio Oriente e Nord Africa.
È paradossale dirlo, ma osservando l’immagine odierna sempre più sbiadita delle Nazioni Unite è davvero difficile dare torto a Susan Rice, la quale nel 2013, fresca di nomina a consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, non aveva lesinato parole forti nei confronti del Palazzo di Vetro di New York: “la storia giudicherà duramente” l’inazione dell’ONU sulla Siria disse all’epoca.
Eppure, questa istituzione esiste proprio per tentare ogni via diplomatica possibile per evitare guerre e risolvere contenziosi internazionali e la Rice, che dell’ONU era stata ambasciatrice degli Stati Uniti prima di assumere l’incarico di consigliere della sicurezza nazionale nella seconda Amministrazione Obama, lo dovrebbe saper bene. Se poi, invece, si vuol sostenere che l’ONU sia un’istituzione inutile e dispendiosa e che sarebbe meglio fargli fare la fine della Società delle Nazioni, questo è un altro discorso.
Con buona pace di Susan Rice, infatti, la storia ha già giudicato in abbondanza l’inefficienza della burocrazia delle Nazioni Unite, in alcuni casi al limite del criminale: a testimoniarlo ci sono molte voci, dal milione di morti in Rwanda ai massacrati di Srebrenica. Ma ancora andiamo avanti con riunioni e riunioni nel Palazzo di Vetro, come se quello fosse l’unico salotto dove poter discutere di politica internazionale.
Come è strutturata l’ONU
Sarebbe bene ricordare che l’architettura ONU prevede due organi principali: l’Assemblea generale, dove siedono tutte le nazioni aderenti all’Organizzazione, e il Consiglio di Sicurezza, dove siedono soltanto 15 membri, 5 dei quali permanentemente.
Mentre l’Assemblea disserta sui più svariati argomenti (Disarmo e Sicurezza; Economia e Finanza; questioni sociali, legali e amministrative), il Consiglio di Sicurezza provvede al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Ma le regole d’ingaggio del Consiglio prevedono che ogni decisione messa al voto – vedi l’autorizzazione all’uso della forza – viene adottata solo nel caso in cui almeno 9 membri su 15 sono in accordo. Eccezion fatta per il diritto di veto, che ognuno dei 5 membri permanenti ha il diritto di apporre per bloccare qualsiasi risoluzione non condivida. Ne basta uno perché il voto sia respinto.
Ora, considerato che i cinque membri permanenti sono Regno Unito, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti, si può ben comprendere l’inutilità di questa organizzazione. Quante volte sono in accordo Stati Uniti e Russia? O Stati Uniti e Cina? Meno di una su cento. Come nel caso siriano: come fa Susan Rice a sostenere che “la storia giudicherà duramente l’inazione ONU” se quella organizzazione è concepita proprio per l’inazione? Ma soprattutto: vogliamo parlare del fatto che i principali Paesi trafficanti di armi nel mondo sono proprio gli stessi cinque membri permanenti dell’ONU?
Quanto costa l’ONU
Si calcola che, nel complesso, il mantenimento del sistema delle Nazioni Unite superi ogni anno i 15 miliardi di dollari (il bilancio-base era 1,1 miliardi di dollari nel 1993). Una parte delle spese, quelle amministrative, vengono interamente compensate dalle quote obbligatorie che ciascun Paese aderente è obbligato a versare, e che coprono circa un terzo del totale (il regular budget 2012/2013 è pari a 5,15 mld dollari). Il principio contributivo è proporzionale: ogni Stato contribuisce in base alle proprie possibilità e in misura non inferiore allo 0,01% e non superiore al 22% del budget totale: il contributo si basa su un calcolo che considera il Pil dello Stato, la sua popolazione e il suo livello di debito (fortunatamente per l’Italia, in questo caso).
http://www.panorama.it/news/oltrefrontiera/onu-il-difficile-compito-di-antonio-guterres/
Nessun commento:
Posta un commento