«Mariano Rajoy sta giustificando la brutalità dimostrata dalla Guardia Civil e dalla Policía Nacional contro una popolazione civile, contro cittadini che, con o senza ragione, volevano solo andare alle urne e votare»
Luis Sepúlveda, scrittore cileno che ha scelto di vivere in Spagna il suo lungo esilio, e di cui è appena uscito in Italia il libro “Storie ribelli” (Guanda) parla con il “Corriere della Sera” mentre in televisione scorrono le immagini della conferenza stampa del premier spagnolo, che ha dato ordine ai reparti antisommossa di usare la forza contro la popolazione: oltre 700 persone ferite da pugni e calci, manganellate e proiettili di gomma
«Fino a pochi giorni fa, il numero dei catalani disposti a partecipare al referendum era la metà di quelli che hanno poi tentato di votare», osserva Sepúlveda, intervistato da Sara Gandolfi
I catalani «non hanno votato per o contro l’indipendenza», sostiene l’autore del bestseller “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. I cittadini di Barcellona e Girona «votavano per il diritto a decidere liberamente, e contro l’arroganza di un governo ottuso, troppo vicino al franchismo, troppo immobile e insensibile ai problemi che si devono risolvere in modo politico e mai con la forza della repressione»
I suoi colleghi Vargas Llosa e Javier Cercas hanno definito il referendum un golpe? «Sciocchezze», taglia corto Sepúlveda: «Chi ha fatto un colpo di Stato? Quelli che sanguinavano nelle strade e negli ospedali della Catalogna?»
Come si è arrivati fin qui? Chi sono i “colpevoli” di una tensione degenerata in violenza? «C’è stata una lunga serie di offese e incomprensioni tra lo Stato spagnolo e la Catalogna», dice lo scrittore, «e la situazione si è aggravata quando il Tribunale costituzionale, composto da giudici in maggioranza di destra, ha eliminato lo Statuto d’autonomia catalana, votato e approvato dal Parlamento della Catalogna»
Poi, aggiunge Sepúlveda, c’è l’immobilismo della destra iberica: «La tattica di Rajoy è non fare nulla, perché tutto scivoli via, senza curarsi dei costi sociali e politici»
Per il romanziere cileno «è mancato il dialogo da entrambe le parti», ma soprattutto «è mancata la volontà politica da parte del governo spagnolo per aprire le porte a questo dialogo: la destra ha sempre fatto affidamento più sulla repressione che sul dialogo»
«Vivo in Spagna da tempo», continua Sepúlveda, «e ho potuto constatare come i settori più retrogradi della società spagnola, quella parte della popolazione con diritto di voto che appoggia senza tentennamenti la destra, ha estratto dai vecchi resti della storia ciò che c’è di più rancido e assurdo del nazionalismo fascista»
Secondo lo scrittore, già militante del partito comunista cileno e sostenitore di Salvador Allende, deposto e ucciso da Augusto Pinochet l’11 settembre 1973 nel corso del golpe organizzato dall’élite neoliberista attraverso la Cia, in Spagna «la destra ha avvelenato la politica con l’odio, e lo stesso hanno fatto in Catalogna quelli che credono che l’indipendenza sia un atto di magia»
Se la polizia che picchia gli inermi nelle scuole rinvia alla mattanza del G8 di Genova, la tensione tra centro e periferia “ribelle” risveglia i peggiori fantasmi europei, quelli della sanguinosa guerra civile jugoslava
Tra Barcellona e Madrid, ricorda il “Corriere”, ci sono ferite storiche ancora aperte
La transizione democratica non ha funzionato? «La transizione fu un patto del silenzio», dice Sepúlveda
«E nella storia i silenzi si rompono sempre»
Da una parte la capitale “franchista” e monarchica, dall’altra la città-leader dei repubblicani democratici, socialisti e anarchici, oggi nazionalisti anti-spagnoli
Forse, si domanda Sara Gandolfi, alla Spagna serviva un processo di riconciliazione post-dittatura come quello avvenuto in Cile?
Sepúlveda è netto: «In Cile – accusa – si è imposta l’amnesia come ragione di Stato». E aggiunge: «Di quale riconciliazione si parla quando lo Stato ancora non chiede scusa alle vittime, e i torturatori e i loro complici continuano a vivere in situazioni di privilegio, compresi quelli che stanno in carcere?»
E allora, come risolvere l’impasse in Spagna?
«La soluzione è politica – dice Sepúlveda – e passa da una riforma della Costituzione spagnola». Spiega: «La Spagna deve essere uno Stato federale»
Oggi però, dopo la violenta repressione del 1° ottobre «e le dichiarazioni ottuse di Pedro Sánchez», il leader socialista del Psoe (che prende le distanze dalla rivolta civile di Barcellona) in Catalogna «c’è più volontà indipendentista che mai»
Così possono iniziare le guerre civili?
«La società catalana è colta, civilizzata, dialogante, moderna», assicura Sepúlveda: «I catalani non darebbero mai inizio a una guerra civile»
Il problema è un altro: la vera natura statuale della Spagna, monarchia costituzionale che tiene insieme regioni diversissime dove si parla il castigliano e il catalano, il basco, il galiziano, l'asturiano e l’aragonese
Conclude Sepúlveda: «La Spagna è un insieme di nazioni e il suo futuro è federale e repubblicano. O non avrà futuro»
http://www.libreidee.org/2017/10/sepulveda-repubblica-federale-o-la-spagna-non-esistera-piu/
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