Nel suo ultimo discorso, pochi giorni prima di essere assassinato,
Thomas Sankara ricordava la celebre frase di Guevara:
“Non sparate, le idee non si uccidono”
Ed è proprio per il coraggio delle sue idee
– e del loro compimento –
che il governo di Sankara si è concluso dopo appena quattro anni di presidenza
Di umili origini,
Sankara nasce nel 1949 a Yako, nell’allora colonia francese dell’Alto Volta
Entra alla scuola militare Prytanée nel 1966 e da lì comincia a prendere forma la sua coscienza politica
Sono anni di estremo fermento nelle ex-colonie europee d’Africa,
diversi paesi stano ottenendo l’indipendenza
– primo fra tutti (1957) nell’Africa subsahariana il Ghana, dove un decisissimo Kwame Nkrumah inneggia alla libertà e al panafricanismo –
e le conseguenze concrete del colonialismo si fanno sentire più che mai, come Sankara stesso ebbe modo di vedere in occasione delle sue missioni in Madagascar e in Mali
Nel 1976 gli chiesero di formare dei commandos d’élite e lui non esitò a creare dei “cittadini”, perché “ogni militare senza una formazione politica è un potenziale assassino”
La situazione politica dell’Alto Volta si faceva più instabile di anno in anno:
indipendente già dal 1960, negli anni aveva visto un susseguirsi di governi dittatoriali monopartitici e, più di recente, di carattere militare
Dal 1980 a Sankara venne richiesto di entrare nel governo (posizione che dovette accettare per motivi di gerarchia militare) per far riacquistare popolarità al partito in carica
Divenne però ben presto scomodo, denunciando apertamente gli abusi e la corruzione di “quella borghesia che si è arricchita con la frode e quegli uomini politici che visitano le campagne solo sotto elezioni”
Fu incarcerato due volte,
fino alla liberazione definitiva e alla nomina di presidente dell’Alto Volta il 4 agosto 1983
La “rivoluzione” di Sankara
Cominciò quel giorno la “rivoluzione” di Sankara: un’agenda fittissima (a partire dal nome stesso dello stato, che nel 1984 fu cambiato in Burkina Faso, ovvero “paese degli uomini integri” in lingua burkinabé), volta a garantire al suo popolo l’autosufficienza economica e politica, oltre a delle condizioni di vita dignitose, e che prevedeva più fronti:
lotta contro la deforestazione e l’avanzamento del Sahara, completo rinnovamento del sistema scolastico e di quello sanitario, piena partecipazione della donna (“la grande assente”) alla vita pubblica e governativa e, fatalmente, l’indipendenza economica dalle grandi potenze
Quest’ultimo punto, estremamente delicato, richiedeva un impegno notevole: controllo dei salari (Sankara stesso, una volta presidente, mantenne lo stipendio da capitano),
limitazione dei prodotti importati a favore di quelli prodotti all’interno
e soprattutto la cancellazione del debito estero
(“Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare
Non possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili
Non possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue
È il nostro sangue che è stato versato”)
In pochissimo tempo riuscì a ottenere, in uno dei paesi più poveri al mondo, risultati che hanno dell’incredibile:
il tasso di scolarizzazione passò dal 16 a oltre il 22 per cento,
due milioni e mezzo di bambini vennero vaccinati contro il morbillo, la febbre gialla e la meningite
(con piacevole sgomento persino dell’Unicef),
furono piantati dieci milioni di alberi già nei primi quindici mesi,
ogni singolo villaggio venne dotato di “posti di salute primari” per il primo soccorso e a ogni burkinabé vennero assicurati due pasti e dieci litri di acqua al giorno
Eppure la politica estera di Sankara destava continue preoccupazioni in Occidente
Nonostante il Burkina Faso
fosse dichiaratamente
non allineato,
Sankara non esitava a schierarsi, e a dire la sua senza mezzi termini,
su tutti i temi più caldi del momento,
dall’apartheid (arrivando ad accusare vis-à-vis il presidente francese Mitterrand per il suo sostegno al governo sudafricano),
alla questione palestinese
e alla guerra civile nel Nicaragua sandinista di Daniel Ortega
Il 15 ottobre 1987 Sankara, insieme a una quindicina di guardie, venne ucciso in seguito a un’irruzione armata coordinata da Stati Uniti e Francia
Non si è ancora riusciti a fare luce sugli eventi di quel pomeriggio
(anche se il documentario di Silvestro Montanaro del 2013
"..e quel giorno uccisero la felicità" ne dà un’idea piuttosto precisa,
e nel 2015 è stato riaperto il dossier) e della politica sankarista sono rimaste una tomba misera e la dichiarazione “deceduto di morte naturale” sul certificato di decesso
Gli successe Blaise Compaoré (amico storico di Sankara e responsabile dell’assassinio, rimasto al potere fino al 2014)
e le riforme vennero revocate
L’eredità di una figura singolare
Ciononostante, a distanza di trent’anni dalla morte di Sankara, il ricordo del suo impegno riemerge con sempre maggiore forza,
dentro e fuori il Burkina Faso
Dentro per via del governo corrotto di Compaoré, il quale ha essenzialmente vanificato gli sforzi del suo predecessore,
ma anche fuori è un nome che comincia a riecheggiare,
simbolo di un’agognata onestà politica
Ne sono un esempio le illuminanti interviste e soprattutto i due volumetti pubblicati dalle edizioni Sankara (casa editrice romana, nata nel 2000 senza scopo di lucro) negli ultimi anni
Il primo, I discorsi e le idee (2003), è un prezioso compendio dell’attività di Sankara,
dove ai suoi discorsi più significativi si affiancano un’accorata introduzione del fratello Paul e una postfazione di Marinella Correggia
(impagabile curatrice nonché traduttrice di questo primo volume)
Il secondo (Le parole di un vero rivoluzionario, 2018),
più circoscritto nell’arco temporale giacché riporta discorsi relativi solo agli ultimi due anni di governo (1985-1987), entra invece più nello specifico delle tematiche trattate in precedenza
I due libri, anche se forse non nelle intenzioni iniziali, risultano pressoché complementari e permettono al lettore di farsi un’idea di questa singolare figura, di sentirne la voce
E se a questo aggiungiamo i pochi spezzoni video reperibili online, allora non resta che lasciarsi trascinare dalla forza, e perché no, dallo charme, di Sankara
Leader dalle forti convinzioni, rigorosissimo nei suoi principi, e che questi discorsi mostrano in tutta la sua, anche, perentorietà, quella stessa che l’ha portato a inimicarsi diversi politici e intellettuali suoi contemporanei (tra i quali il noto storico burkinabé Joseph Ki-Zerbo, fondatore del partito di opposizione Mln già nel 1957 che ha preso fin da subito le distanze – anche fisiche – dal governo sankarista, giudicandolo eccessivamente autoritario)
Da questi discorsi, che vedono meritatamente la luce in italiano, traspare quindi l’uomo, non solo il simbolo
Un uomo che, seppur nella sua imperfezione, ha mostrato una via alternativa al suo popolo
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