di Salvatore Tamburro
Il Pil misura qualunque cosa, tranne ciò per cui vale la pena vivere. |
(Robert Kennedy)
Quasi quotidianamente ascoltiamo dai media che il nostro
PIL è aumentato o sia diminuito rispetto
al mese, al trimestre o all’anno precedente, oppure lo ritroviamo confrontato
col nostro debito pubblico, altrimenti ancora col PIL degli altri Paesi.
In teoria il PIL, prodotto
interno lordo, è quell’indice economico che viene preso come riferimento per
valutare la crescita (o decrescita) di un Paese; per essere più precisi, esso è
una grandezza aggregata macroeconomica che esprime il valore complessivo dei
beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo
e destinati ai consumi finali, agli investimenti o alle esportazioni nette.
Il PIL è detto ‘interno’ in
quanto comprende il valore dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese,
anche se a produrli si tratta di un impresa estera; è detto ‘lordo’ perché è
comprensivo degli ammortamenti[1] .
Esistono due misure del PIL
per l’Italia: il PIL nominale, o in
euro correnti, e il PIL reale, o in
euro costanti.
Il PIL nominale misura il
valore della produzione ai prezzi del periodo in cui è stata ottenuta; il PIL
reale, invece, misura la produzione di un periodo ai prezzi di un qualche anno
base. Il 1995 costituisce attualmente l'anno base nella misurazione del reddito
reale dell'Italia.
Ma questo PIL è veramente un
indice rappresentativo per esaminare la
ricchezza di un Paese come vogliono farci credere?
Purtroppo no. Esso è un indice
non realistico che, seppur continuamente menzionato in statistiche o da
giornalisti e politici in programmi televisivi, non rispecchia tuttavia la
reale crescita (o decrescita) del Paese.
Il motivo di questo sfasamento
dalla realtà è dovuto al fatto che il P.I.L., oltre a non calcolare tutte le
transazioni fatte a titolo gratuito (infatti non considera la consistente fetta
del no-profit), considera soltanto le poste in gioco positive della
produttività, e non quelle negative.
Facciamo degli esempi pratici.
Se vado in un bar e mi scolo
di gusto sette bottiglie di birra farò aumentare il PIL; dopo, ubriaco, mi
metto alla guida dell’auto e faccio uno scontro frontale con un’altra auto con
genitori e figli a bordo mandandoli tutti all’ospedale, rendendoli tutti
invalidi; anche in tal caso contribuisco a far aumentare il PIL del mio Paese.
I soldi spesi al bar per
l’acquisto delle sette birre, l’autocarro con rimorchio per l’auto distrutta,
il personale del pronto soccorso, le spese legali e le cure mediche cui le
vittime si dovranno sottoporre non sono altro che degli addendi positivi che
vengono calcolati nel prodotto interno lordo, ma nessuno tiene conto delle
componenti negative, quali un comportamento scorretto alla guida, l’uso di
alcool e l’aver reso invalide delle persone[2].
Altro esempio, se c'è
un'alluvione e tutti lavorano per cercare di eliminare i danni, la produzione
aumenta. È evidente che occorrerebbe prima calcolare il danno, sottrarre la
distruzione di risorse e poi aggiungere la spesa per la ricostruzione, ma tutto
ciò non viene fatto.
Ancora un altro esempio: una
fabbrica farmaceutica che, coi medicinali venduti permette l’incremento del
PIL, ma in tutto ciò non si tiene conto dei costi che saranno necessari per
bonificare le acque o le terre
circostanti dove magari tali imprese hanno versato i loro rifiuti chimici,
tossici ed inquinanti.
Lo stesso Luigi Biggeri[3],
presidente dell’ISTAT fino al 2009, in un intervista sul quotidiano IlSole24Ore[4]
affermava quanto segue: “L'uso che
spesso si fa, in politica o sui media, del concetto di Prodotto interno lordo come se fosse una misura del
benessere, della qualità della vita o della felicità delle persone, è distorto.
Con il Pil ci si riferisce solo ai beni finali di mercato e non si considerano
le distruzioni di beni capitali o di risorse umane o ambientali. Inoltre, non
si considera la produzione per auto-consumo delle famiglie: il lavoro delle
donne casalinghe, di quelle che da sole si fanno i vestiti; una volta, quando
la nostra cultura era più contadina, si faceva anche l'esempio della frutta e
della verdura prodotta nel proprio orto. Insomma, già dopo pochi anni di vita,
il Pil si è attirato tante critiche proprio sulla sua completa efficacia come
misura dell'efficienza produttiva, rivolta unicamente a quanto avviene sul
mercato. A maggior ragione, il Pil non funziona come misura del benessere
sociale, se non è corredato da indicatori di disuguaglianza. Eppure, i politici
lo hanno usato moltissimo come parametro di riferimento ‘ampio’: basta pensare
ai criteri per l'ingresso nell'Unione Europea“.
Proprio a proposito
dell’Unione Europea notiamo invece come sia importante l’uso che gli eurocrati
fanno del PIL. Nell'Unione europea si sta discutendo circa l’approvazione delle
nuove regole sul Patto di Stabilità e Crescita[5]
dell’Ue che prendono come riferimento il PIL; in sostanza, sono sanzionabili
quei Paesi che non rispettino:
·
un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL;
·
un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL
Considerando che attualmente
l’Italia sfora entrambi i parametri imposti a livello europeo, ne consegue che
siamo altamente sanzionabili.
Tornando al nostro caro PIL
sempre di più, quindi, ci si convince che esso sia incapace di misurare il
benessere collettivo nazionale, e quindi diremmo la ‘felicità’ di un popolo,
poiché si limita a considerare unicamente le voci positive del reddito e delle
cifre numeriche che esso esprime.
Proprio riguardo al PIL, nel
1968 Robert Kennedy[6] tenne il
seguente discorso il 18 marzo 1968 alla Kansas University, in cui diceva: “Non possiamo misurare lo spirito nazionale
sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del
Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l'inquinamento dell’aria, la
pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade
dalle carneficine del fine settimana…
Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti
violenti ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate
nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della
qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non
comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari.
Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei
rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la
nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto,
eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta “.
Ma allora esistono degli
indici che possono essere più attinenti alla realtà per valutare il benessere
di un Paese?
La ricerca di un indice
globale alternativo non è però cosa facile. L'inconveniente principale dipende
dal peso che viene attribuito ai singoli fenomeni, ad esempio: i no global
possono dare un peso superiore ad alcune variabili e magari i politici di
governo attribuiscono un peso maggiore ad altri aspetti. Insomma, sulle
ponderazioni è molto difficile trovare un accordo e l'indice sintetico ha
sempre la difficoltà di essere accettato da tutti.
La necessità di trovare
un’alternativa al PIL fu proposta anche dal presidente francese Nicolas Sarkozy
che nel corso di una conferenza stampa di inizio 2008, annunciò di aver
incaricato due premi Nobel per l'economia, l'americano Joseph Stiglitz e
l'indiano Amartya Sen, di riflettere su come cambiare gli indicatori della
crescita in Francia. La requisitoria contro il PIL fatta da Stiglitz e dalla
sua squadra di economisti arrivò dopo un anno di studi, contenuto nelle
trecento pagine del Rapporto ‘Oltre il
PIL’ in cui sono presenti, arricchiti da acute osservazioni, tutti gli
argomenti sui limiti del Pil e sulle strategie da adottare per superarlo, che
da molti anni alimentano un interessante dibattito.
Nel Rapporto vengono ricordati
i casi in cui il Pil cresce e il benessere sociale, per quanto ampiamente
inteso, di certo non aumenta. Inoltre, viene sottolineato che se si fosse
prestata attenzione a altri indicatori, in particolare a quelli di
sostenibilità finanziaria, la recente crisi economica avrebbe potuto essere,
quanto meno, meglio governata; vengono presentate 12 raccomandazioni che
dovrebbero condurre non tanto alla definizione di un indicatore sintetico
alternativo al Pil quanto alla messa a punto di statistiche in grado di
cogliere il benessere sociale nelle sue molte dimensioni.
Esistono comunque già da
diverso tempo delle alternative, come il FIL (felicità interna lorda,
fortemente appoggiato dal Dalai Lama), l’ISU (Indice di sviluppo umano), oppure
l’ IEF (Indice della libertà economica).
Tra le varie proposte finora
valutate l’alternativa più valida sembra il GPI, il Genuine Progress Indicator, utilizzato negli USA dal 1950, ed è una
misura che tiene conto di più di venti aspetti della vita economica che il PIL
ignora, come la stima dei contributi economici di numerosi fattori sociali ed
ambientali.
Volendo confrontare PIL e GPI,
si evincono marcate differenze di valutazione: mentre negli USA il PIL è quasi
duplicato dagli anni 50 ad oggi, il GPI è cresciuto del 45% tra gli anni 50-60,
mentre il tasso di declino pro-capite è poi stato dell’1% negli anni 70, del 2%
negli anni 80 e del 6% negli anni 90. Ciò significa che mentre secondo il PIL
l’economia americana si è raddoppiata, secondo il GPI l’economia americana ha
smesso di crescere negli anni 70 e da allora ha pressoché un andamento
stagnante.
Il GPI è stato elaborato dal
gruppo Redefining Progress[7], ideando
un indice che sottrae dal valore del prodotto totale i costi di fattori
negativi come gli effetti sulla salute del consumo di tabacco, le spese
affrontate per ripulire le aziende agricole dai rifiuti tossici scaricati, e
altri costi sociali che abitualmente vengono computati come addendi positivi
nei conteggi standard del PIL.
Da ricordare è uno studio[8]
fatto nel regno del Buthan, nella catena himalayana. Quarant’anni fa, il quarto
re del Buthan, giovane ed appena asceso al trono, ha fatto una scelta
rimarcabile: il Buthan deve perseguire la felicità nazionale lorda invece del
Prodotto Nazionale Lordo. Da allora il paese sta sperimentando un approccio
alternativo, olistico allo sviluppo che enfatizza non solamente la crescita
economica, ma anche la cultura, la salute mentale, la compassione e la
comunità. Decine di esperti si sono recentemente riuniti nella capitale del
Buthan, Thimphu, per fare tesoro dell’esperienza del paese. Tutti coloro
ritrovatisi a Thimphu hanno concordato sull’importanza di perseguire la
felicità invece del prodotto nazionale.
per promuovere la felicità,
dovremmo identificare i numerosi fattori diversi dal PNL in grado di elevare o
comprimere il benessere sociale. La maggior parte dei paesi investe per
misurare il PNL, ma spende poco per mettere a fuoco le cause della salute a
rischio (come i fast food e il guardare in modo eccessivo la televisione), del
declino della fiducia sociale, e del degrado ambientale. Una volta compresi
questi fattori, si potrà agire.
Spero vivamente che l’economia
mondiale possa presto ricorrere a degli indici più attinenti alla realtà per
valutare la crescita\decrescita di un Paese. Ovviamente, parliamo sempre di
indici matematici; la felicità di un individuo ancora non è rappresentabile da
un indice statico.
[1] Per ammortamento si intende il
procedimento con il quale si distribuiscono su più esercizi i costi di beni a
utilità pluriennale, che possono essere di diversa natura.
[2] ‘10 ragioni per abolire il fondo
monetario internazionale e la banca mondiale’, di Danaher Kevin, Ed. IBIS
(2005)
[3] Luigi Biggeri è uno statistico
italiano, è stato presidente dell'Istat dal 2001 al 2009.
[4] Link dell’intervista:
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/01/Pil-maneggiare-cura.shtml?uuid=f6044b14-c0f2-11dc-bca2-00000e25108c
[5] Il Patto di stabilità e crescita
(PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell'Unione Europea, inerente al
controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i
requisiti di adesione all'Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona).
[6] Robert Francis Kennedy - chiamato
Bob o, affettuosamente, Bobby e noto
come RFK - (Brookline, 20 novembre 1925
– Los Angeles, 6 giugno 1968) è
stato un politico statunitense, figlio di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e
fratello di John Fitzgerald Kennedy.
[7] Redefining Progress di Oakland, California, ideatore del Genuine
Progress Indicator (GPI)
[8] L'economia della felicità, di Jeffrey D. Sachs, articolo da IlSole24Ore del 29/08/2011.
Sachs è Professore di Economia e Direttore dell’Earth Institute presso la
Columbia University. Inoltre, è Consulente Particolare del segretario Generale
delle Nazioni Unite riguardo agli Obiettivi di Sviluppo per il Millennio.
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