di Giovanni Bianconi
ROMA
L’autobiografia dell’ex estremista nero, passato per la lotta armata e la criminalità comune prima di interessarsi agli appalti del Comune di Roma e delle aziende di Stato, è raccolta nelle parole di Massimo Carminati, carpite dalle microspie del Ros dei carabinieri nell’inchiesta su Mafia capitale. Nei nastri degli investigatori sono rimaste incise le confidenze di un uomo di 56 anni che guarda al passato senza apparenti rimpianti, e rievoca una vita movimentata fin da quando era un ragazzino. «Noi eravamo piccoli - racconta a un giovane della destra radicale di oggi - mo’ li vedi i pischelli di diciott’anni... co ‘a biretta in mano... sò creature... Compa’ , a me m’hanno bruciato casa due volte... vivevi con l’estintore... ti aspettavano... A quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai... Ci andavo a scuola con la pistola... col Vespone... Erano altri tempi... adesso ti carcerano subito... ».
Erano gli anni Settanta [...] alla fine di quel decennio di piombo e sangue, fra il 1980 e il 1981 Carminati fuggì in Libano,
dove «ti compravi un M16 (fucile d’assalto, ndr ) con 150 dollari», passando da Cipro con altri camerati: «Noi stavano con dei francesi... poi siamo andati al Sud, quando siamo dovuti scappare da Beirut, e siamo andati all’ enclave dove... c’era un colonnello che lavorava per gli israeliani».
Finita la stagione della militanza, è proseguita quella dei rapporti con i banditi della Magliana, dei quali Carminati mostra di non avere grande considerazione: «Banda di accattoni straccioni, per carità, sanguinari, perché si ammazzava la gente senza manco discutere, la mattina si decideva se uno doveva ammazzare qualcuno la sera... »
Carminati si lamenta di essere dipinto come un affiliato a quel gruppo di malavitosi. Perché, racconta, «io ero soltanto amico... io facevo politica, poi la politica ha smesso di essere politica ed è diventata criminalità politica, perché c’era una guerra a bassa intensità prima con la sinistra e poi con lo Stato...”Il negro” (Franco Giuseppucci, ndr ) era il capo, l’unico vero che c’è mai stato della banda della Magliana. Era un mio caro amico, abitava di fronte a casa mia, lo conoscevo da una vita... lui ci rompeva il cazzo, se pijavamo per il culo tutto il giorno “vieni con noi”, “ma che cazzo me ne frega”... Insomma c’era un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l’altri. Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto, diciamo, una sorta di rapporti con tutti ‘‘sti cialtroni. Ma loro vendono la droga, io la droga non l’ho mai venduta, non mi ha mai interessato. Io schioppavo (rapinavo, ndr ) dieci banche al mese».
Terminata anche quell’epoca, è cominciata l’attività economica nelle sale gioco, insieme alle indagini che hanno portato Carminati alla sbarra insieme all’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti per il delitto Pecorelli (assolto in tutti i gradi di giudizio, mentre Andreotti in appello si prese una condanna poi annullata dalla Cassazione).
«Stavolta è un grande guaio - commentava lo scorso anno con un ex alto funzionario di Finmeccanica -... perché è vero che... però è... cioè... vuol dire mette er cappello su tutto il cucuzzaro ». Cioè far venire alla luce tutti gli affari occulti, interpretano gli investigatori: unica vera preoccupazione del presunto boss. Un sopravvissuto al colpo di pistola ricevuto in testa quando lo arrestarono la prima volta, che oggi quasi si vanta di temere la morte: «Tanto io mi faccio cremà ... e mi faccio buttà nel cesso... Lascio in giro soltanto un pollice... voglio lascia’ in giro un pollice così magari quando... dopo che sono morto... fanno qualche ditata su qualche rapina su qualche reato... così dicono che sono ancora vivo... A me non mi frega un cazzo della vita».
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