di Vincenzo Scagliarini
Il dominio sulle informazioni
“Raccogliamo dati degli utenti e sull’uso delle app per offrire un servizio più veloce e rendere possibile un’esperienza personalizzata sulle ricerche, le mappe e gli altri prodotti Google”. Così il colosso di Mountain View spiega la sua strategia. E le ragioni del suo successo. Ricerche su misura per offrire un servizio migliore. In Europa 9 ricerche web su 10 passano dai server di Mountain View, dove vengono filtrate e analizzate. Così sulla homepage di YouTube ci vengono proposti i video che potrebbero piacerci e alla destra dei risultati di ricerca ci vengono consigliati prodotti che potremmo voler acquistare. Quest’ultima funzione, Google Shopping, è finita di recente nel mirino dell’Antitrust europea per presunta pratica anticoncorrenziale.
Non è solo qualcosa per il bene degli utenti. È così che Google – i cui servizi sono tutti gratuiti – fa profitti: utilizzando i dati dei miliardi di utenti connessi per vendere pubblicità online. L’algoritmo Pagerank, la ricetta segreta con cui l’azienda cataloga ogni anno 1,2 mila miliardi di ricerche (qui http://www.internetlivestats.com/google-search-statistics/ visibili in tempo reale), si basa proprio su questo: scrutare il web e fornire agli utenti solo ciò che ritiene interessante. E scartare tutto il resto.
Dalla metà di aprile 2015 il colosso fondato da Sergey Brin e Larry Page ha messo a disposizione un nuovo servizio che permette di scaricare tutte le ricerche effettuate tramite il motore di ricerca negli ultimi 5 anni. È un’opzione annunciata in sordina alla fine del 2014 e attivata altrettanto in silenzio la scorsa settimana. Non è una funzione a uso interno né una mossa commerciale. È uno strumento che permette di capire come funziona il processo di acquisizione dati. E quante informazioni vengono immagazzinate ogni giorno nei giganteschi data center dell’azienda.
Dalla cronologia https://history.google.com/history/ del proprio account
è sufficiente cliccare sull’icona con la ruota dentata in alto a destra e scegliere “scarica”. Dopo circa 15 minuti riceveremo nella nostra casella email una serie di file contenenti tutto ciò che abbiamo cercato dal 2011 al giorno del download. Catalogato per data e ora. Sono documenti di pochi megabyte, ma che espongono chiaramente una parte della nostra vita. Anche quella più intima. Se abbiamo fatto ricerche notturne imbarazzanti o se temevamo di avere il cancro. Gli oggetti che abbiamo cercato per fare un regalo e i personaggi politici che abbiamo indagato. Questi documenti sono in formato Json. È uno standard open data che però può non esser familiare a molti. Ma accedervi non è difficile, è sufficiente scaricare queste estensioni per il browser Chrome o Firefox. La soluzione più semplice – anche se non quella più sicura – è andare sul sito json-csv.com e caricare il file con il bottone upload: avremo così una vista immediata di tutte le nostre ricerche e potremo convertirlo in un formato leggibile con un foglio di calcolo come Excel. Possiamo scegliere di cancellare tutto, cliccando sempre sulla ruota dentata di history.google.com e scegliendo “rimuovi elementi”. Ma verranno cancellati solo i dati fino al momento in cui clicchiamo. Poi Google ricomincerà a registrare. A meno che non iniziamo a navigare sempre in “modalità incognito” (attivabile premendo i tasti ctrl+shift+N con Chrome e ctrl+shift+P con Firefox. Oppure scegliendo “nuova finestra anonima con Safari). Se vogliamo conservare una parte dell’anonimato possiamo fare il logout da Google ma, non appena leggeremo la posta di Gmail, torneremo di nuovo nell’ecosistema di Google.
Cediamo la nostra privacy in cambio del non perderci per strada e avere mappe sempre a disposizione, di avere una playlist di video divertenti quando torniamo a casa. Di avere consigli sul prezzo migliore dell’ultimo gadget. Tutto gratis. È un accordo silenzioso che abbiamo accettato quando abbiamo inserito per la prima volta i nostri dati su Google e abbiamo cliccato su “Accedi”.
Ma questa è la prima volta in cui d’un colpo è possibile vedere (quasi) tutto ciò che abbiamo fatto sul web negli ultimi 5 anni. Cose che forse abbiamo rimosso, ma che il motore di ricerca non dimentica. In un certo senso è anche una forma di tutela per l’azienda: in questo modo dà la possibilità di cedere i nostri dati a un altro servizio analogo (se esisterà). È una funzione che potrebbe aver a che fare con la recente indagine dell’Antitrust europea, che riguarda anche le politiche di trattamento dati del colosso californiano. Google stessa ci avverte: l’archivio delle ricerche che stiamo per scaricare è più importante di quanto pensiamo. “Non è la solita solfa”, recita un avviso nel solito stile educato e dimesso dell’azienda. Ma il testo è in rosso. Qui c’è parte della nostra vita e, questi dati, una volta sul nostro computer possono essere rubati. E, forse, i server del colosso di Mountain View sa proteggerli meglio di quanto possiamo fare noi con password come “12345” o “cambiala”. Queste ragioni sono approfondite in un lungo documento del centro assistenza dell’azienda.
La cronologia delle ricerche è accessibile anche graficamente e mostra quante ricerche abbiamo fatto, a quali ore e in quali giorni della settimana cerchiamo di più e quali sono i nostri argomenti preferiti. Tutto aggiornato in tempo reale.
“Googlare” è diventato sinonimo di cercare. E ciò che cerchiamo è il modo migliore per raccontare chi siamo. Con Google Trends il colosso di Mountain View analizza in tempo reale tutte le ricerche individuali e cattura in tempo reale le tendenze del momento, le star emergenti, le mete di vacanza più cercate, i video più visti. Per poi rilasciare a metà di dicembre un bilancio dell’anno.
Questi trend vengono determinati in base ai nostri dati, resi anonimi certo. Ma nessun’altra azienda ha il potere di determinare stati d’animo e preferenze delle persone meglio di Google.
“Uomo, età 25-34 anni a cui piacciono gli animali, la fotografia e i computer. Preferisce visitare i contenuti in inglese”. Ecco un esempio di cosa pensa Google di un suo utente. Sono analisi abbastanza veritiere, che ogni utente può verificare da Preferenze annunci Google.
Analizzando le circa 4 mila ricerche all’anno che ognuno fa attraverso il motore di ricerca, il colosso di Mountain View riesce a capire chi è (e cosa vuole) la persona che picchietta i tasti dietro lo schermo (o scorre le dita su un touchscreen). E così riesce a servire la pubblicità più adatta ai suoi utenti. E riesce a farlo molto meglio delle analisi di mercato da centinaia di migliaia di euro commissionate dalle aziende nei decenni passati. È possibile scegliere “disattiva gli annunci basati sugli interessi” ma Google ci avverte: la pubblicità rimarrà comunque sarà solo “meno pertinente”
Con Google Analytics gli editori possono verificare quanti utenti visitano i propri siti, per quanto tempo rimangono, quante pagine visitano e se ritornano. Attraverso poche righe di codice da inserire nel proprio sito miliardi di aziende indipendenti possono beneficiare della conoscenza di Google.
Da almeno cinque anni tutti gli smartphone hanno un gps. E chiunque ha un dispositivo con Android, il sistema operativo made in Mountain View, viene seguito nei suoi spostamenti con la cronologia posizioni.
Tutti gli spostamenti vengono registrati, catalogati per orario e visualizzati sulle mappe di Google. A fine giornata possiamo anche premere il tasto play e ripercorrere i nostri passi.
Tutti i video che abbiamo visto su YouTube (acquisito da Google nel 2006) vengono registrati e visualizzati nella cronologia https://www.youtube.com/feed/history . Il sito registra anche le ricerche fatte. In questo modo viene popolata la sezione “che cosa guardare” della homepage.
Nell’area Dispositivi e attività https://security.google.com/settings/security/activity?pli=1 del sito security.google.com l’azienda registra lo stato di tutti i nostri oggetti elettronici connessi a Internet: dove sono, quando sono stati utilizzati l’ultima volta e per quanto tempo. Che browser e sistema operativo utilizzano.
Se il dispositivo ci è stato sottratto possiamo revocare l’accesso e cancellare tutto cliccando sul bottone rosso “rimuovi”. Da Gestisci dispositivi Android https://www.google.com/android/devicemanager?hl=it è possibile anche localizzarlo su una mappa in caso di smarrimento. Di recente la stessa funzione si attiva scrivendo “Find my phone” nella barra di ricerca, ma è un’opzione non ancora del tutto attiva in Italia.
informazione completa qui
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