Trent’anni fa il professore di lettere Alfonso Caffè diede alla stampa la notizia della scomparsa del fratello Federico, uno dei più colti e raffinati economisti italiani, professore fuori ruolo di Politica economica e finanziaria all’Università di Roma
Alle 5.30 del mattino un vicino sentì aprire e chiudere l’uscio dell’abitazione di Caffè, nel quartiere romano Monti
Albeggiava appena, nessuno vide la piccola figura del professore attraversare il cancello
Sul comodino lasciò cinque oggetti: l’orologio, le chiavi, gli occhiali, il passaporto e il libretto degli assegni
La sera prima aveva guardato il telegiornale con il fratello malato, che assisteva da tempo, poi si ritirò nella sua stanza. Come ogni sera. A 73 anni, lasciata l’università e l’insegnamento, era depresso. Dopo la morte del padre, lo avevano lasciato anche le due donne della sua vita: la madre morta ultranovantenne e poco dopo la governante, uccisa da un tumore. Negli ultimi anni tre dei suoi migliori allievi erano scomparsi in modo tragico: Ezio Tarantelli ucciso dalle Brigate Rosse, Franco Franciosi per un tumore al fegato e Fausto Vicarelli in un incidente stradale
Il professore, allievo di Luigi Einaudi e definito “il più keynesiano degli economisti italiani” aveva confidato la sua tristezza a un quaderno di appunti, accanto alle impressioni e ai commenti sulla politica economica. I primi a iniziare le sue ricerche furono i suoi allievi, i suoi assistenti, i suoi amici. Con le forze dell’ordine, i cani e le guardie a cavallo batterono tutta la zone di Monte Mario, il greto del Tevere, le borgate a Nord di Roma. Lo cercarono anche a Pescara, la sua città d’origine. Le indagini non tralasciarono nulla: il suicidio, la fuga, il ritiro in un convento. Fu fatta una richiesta formale alla Santa Sede per una ricerca tra gli ordini religiosi, senza risultato.
Del professore nessuna traccia, anche se nei giorni successivi alla scomparsa arrivarono decine di segnalazioni. Una coppia di suoi conoscenti si disse sicura di averlo incontrato su un autobus: appena li vide, raccontarono, si dileguò. Le ricerche proseguirono per mesi, inutilmente. I giornali scrissero che Roma inghiottì Caffè come il battello che portava Ettore Majorana a Palermo inghiottì il fisico e allievo di Enrico Fermi. Fuga, suicidio oppure il ritiro in un convento? Diverse le ipotesi, nessuna risposta. La misteriosa scomparsa del professore fu ripercorsa nel libro L’ultima lezione del giornalista Ermanno Rea, che ricostruì il caso a partire dall’ultima volta che Caffè salì in cattedra per una lezione con i suoi studenti, nel giugno del 1984
Rea indaga su una lettura di Caffè di quegli anni, Le suicide di Durkheim. Se ne trovano tracce in diversi articoli, dove si fa strada l’ipotesi di come una soluzione finale dignitosa fosse l’unica risposta possibile «agli squilibri originati da un’esagerata longevità» e «ai disavanzi catastrofici degli istituti previdenziali».
Nel libro sono raccolte le testimonianze della sua angoscia. «Finirà che perderò la testa, ma la carcassa andrà avanti», confidò a un amico. La scomparsa di Caffè, come quella di Majorana, resta un mistero. Eppure il libro L’ultima lezione dà corpo a una tesi precisa: il vecchio professore quella notte uscì di casa con in testa un progetto. Che si sia trattato di fuga, suicidio o ritiro in un convento, il suo svanire nel nulla fu una scelta, e non un tragico caso
http://www.lastampa.it/2017/04/20/italia/cronache/trentanni-fa-il-mistero-di-federico-caff-il-professore-scomparso-nel-nulla-come-majorana-dE7laWB3Jr7XewKBbFqShL/pagina.html
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