I sindacalisti italiani possono andare in pensione con un assegno il 30% più alto a parità di contributi versati a Inps
Un comodo e lecito (seppur moralmente ingiusto) privilegio di cui godono grazie ai soldi dei contribuenti e grazie a un codicillo contenuto nella legge n° 564 del 1996 che, di fatto, permette ai sindacalisti di fare affidamento su una contribuzione aggiuntiva versata all’organizzazione nella quale militano e 'servono'
Insomma, una sorta di pensione d’oro come quelle della tanto vituperata "casta" dei politici che, anche per pochi anni, hanno seduto sullo scranno in Parlamento
Come ricorda il Quotidiano Nazionale, a mettere nel mirino questo contorto meccanismo è stato (anche) il presidente dell’Inps Tito Boeri, che ha sottolineato come i contributi integrativi versati dagli esponenti sindacali siano garanzia di un assegno Inps calcolato non su base contributiva, bensì su quella retributiva
Con quale conseguenza?
Presto detta:
18mila sindacalisti italiani ricevono, ogni mese, un trattamento pensionistico di lusso, e di netto superiore rispetto alla somme realmente versate all’Istituto nazionale di previdenza sociale
Ora, sia il governo che l’Inps vogliono intervenire per sistemare il cortocircuito legislativo, ma anche se l’esecutivo farà qualcosa, è assai probabile che la norma verrà corretta in modo non retroattivo
Per cui, chi ha già maturato il diritto all’integrazione, continuerà a vedersela arrivare ogni mese
Interessante, infine, anche la classifica degli stipendi dei big dei sindacati italiani, sempre stilata dal QN
La più ricca è Susanna Camusso (Cgil), che si porta a casa ogni 30 giorni 4mila euro netti, seguita a pochi euro da Annamaria Furlan (Cisl) con 3964 €
Terzo gradino del podio per le pensione di Carmelo Barbagallo (Uil) da 2.800 netti mensili
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