domenica 6 gennaio 2013

Capitolo 1 del libro di Cosimo Massaro 'La Moneta di Satana'




Premessa

Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, catturato l’ultimo
bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il
denaro accumulato nelle loro banche.
Tatanca Lotanca (Toro Seduto)
Un’élite di uomini, da millenni, di generazione in generazione, spadroneggia
sulla Terra.
Questi individui, che costituivano le case regnanti del passato o la classe
politica e i potentati economici di oggi, si sono imposti, sul genere umano
e non solo, come capi assoluti, convinti di essere i prescelti.
Naturalmente, di epoca in epoca, il loro potere permanente ha semplicemente
cambiato forma infiltrandosi e adattandosi al sistema dominante
del tempo. Questo è il filo conduttore della civiltà a partire dall’epoca
degli antichi Sumeri, culla della nostra civiltà.
Il potere di queste élite si manifesta in varie forme. Alcune subliminali,
come la semplice detenzione della conoscenza nella sua totalità, altre più
esplicite, come la “dittatura”.
Ultimo tra i poteri, in ordine di tempo, è sicuramente quello economico.
Di conseguenza, chi controlla la produzione del denaro e i suoi flussi
possiede la capacità di comprare la classe politica, l’informazione e tutto
ciò che in uno Stato costituisce e sostanzia la democrazia stessa. Questi
uomini nel corso della storia, hanno usato ogni mezzo, perfino la condanna
a morte di un’infinità di esseri umani, pur di perseguire i propri
sporchi piani. Si riuniscono tuttora in società segrete che non ci è dato
sapere se rispondano a una regia ancora più occulta, come ritengono alcuni,
o se, semplicemente, agiscano influenzati dalla “forza oscura” insita
nell’uomo sin dalla notte dei tempi. Si tratta di quell’eterna lotta tra il
bene e il male, la luce e l’oscurità, lo ying e lo yang, manifestazione di quel
“dualismo” che ci fa supporre che l’universo stesso, forse, non potrebbe
sussistere senza la coesistenza degli opposti.
Ma questa è tutta un’altra storia...


Prologo

Sono le ventuno e trenta di una tiepida serata d’inizio primavera quando
un importante giornalista della RAI, Enrico Costa, sta rientrando a casa
dopo il lavoro. Vive in un appartamento di un condominio situato in uno
dei più esclusivi quartieri di Roma, i Parioli.
La casa è curata fin nei minimi particolari: nella bellissima ampia zona
giorno la grande vetrata si affaccia su di un terrazzo pieno di verde. L’arredo
è moderno, ma alcuni mobili d’antiquariato del Maggiolini e altri
vari pezzi da collezione, si inseriscono piacevolmente nel contesto.
Della casa si era occupata, con molto gusto, sempre la moglie.
E ogni volta che entrava aveva la sensazione che lei fosse ancora lì. In
realtà erano ormai passati due anni da quando un cancro fulminante se
l’era portata via. Per fortuna, grazie alla figlia Sara e il suo lavoro, Enrico
era riuscito ad uscire da un brutto periodo e ultimamente, si stava occupando
di un progetto importante che, a suo giudizio, avrebbe sconvolto
l’opinione pubblica.
Enrico infatti, oltre ad essere un importante giornalista, è uno stimato
conduttore televisivo di un seguitissimo talk-show serale, dove vengono
portate a conoscenza del grande pubblico, attraverso inchieste ben articolate,
scottanti verità.
Purtroppo, questa volta il progetto su cui stava lavorando era decisamente
fastidioso per l’oligarchia dei potenti, che prontamente informati,
decidono di fermarlo a tutti i costi.
Enrico, come d’abitudine si toglie il cappotto e lo butta sul divano. Si dirige
verso la camera da letto, apre la porta, entra e comincia a spogliarsi.
Proprio in quel momento accade qualcosa di inaspettato. Un uomo nascosto
nel buio che ha atteso paziente il suo arrivo all’improvviso avanza
da dietro la porta e lo afferra alle spalle. In quell’istante, Enrico si sente
raggelare il sangue, non ha ancora capito cosa gli stia capitando. L’uomo
corpulento e muscoloso, lo afferra per il collo con la mano sinistra che
lo stringe come una morsa d’acciaio. La pressione è tale da fargli sentire
un dolore lancinante lungo tutta la schiena. Con la mano destra, gli punta
una pistola alla testa e lo spinge verso il letto. Enrico non ha nemmeno
il tempo di reagire.
L’uomo lo tiene immobile puntandogli anche il ginocchio sinistro sulla
schiena bloccandolo con il suo enorme peso. Si avvicina con la bocca
all’orecchio e con tono minaccioso, gli sussurra: «Ti avevamo avvertito di
lasciare stare, ma non hai voluto ascoltare»....
Enrico capisce immediatamente quello che gli sta accadendo, sa che ha a
che fare col suo lavoro.
Ora è tutto più chiaro, intuisce che la situazione non avrà un lieto fine. Da
un po’ di tempo, infatti, subiva intimidazioni...
Con uno scatto improvviso, girandosi sul lato sinistro, sferra una gomitata
precisa e ben assestata, in pieno viso al suo aggressore, facendogli sanguinare
il naso. Il dolore è talmente forte che l’uomo per un attimo perde
le forze. Enrico, ha giusto il tempo di ruotarsi per sganciarsi dalla presa e
correre sperando di arrivare alla porta d’ingresso per scappare via e lungo
le scale chiedere aiuto. Ma l’uomo, molto più agile di lui, lo raggiunge nel
salone d’ingresso, lo afferra di nuovo al collo e, con una presa a cravatta,
lo butta a terra mentre tenta di soffocarlo. L’aggressore è troppo forte
per lui, quindi decide di lasciarsi andare e di non contrapporsi più alla
forza bruta dell’avversario.
Enrico respira a fatica, comincia a pensare che saranno gli ultimi istanti
della sua vita. L’uomo, a questo punto, vedendo la sua vittima oramai
rassegnata, molla un po’ la presa e gli consente di riprendere fiato.
Non può ucciderlo ora, deve necessariamente portare a termine il suo
piano. Prende nuovamente la pistola e, puntandogliela alla testa, lo fa
alzare da terra mollando intanto la presa al collo.
Enrico si alza. Adesso è di fronte al suo aggressore che purtroppo però
ha un passamontagna che gli impedisce di identificarlo. È un uomo alto,
circa un metro e novanta, che mai avrebbe potuto sconfiggere in una
lotta corpo a corpo. Con uno scatto d’ira si rivolge al suo aggressore
chiedendogli: «Chi ti paga?» Lui lo guarda e non risponde.
«Volevano che interrompessi la mia inchiesta? E per fermarmi sono passati
dalle minacce alle maniere forti?»
L’uomo lo guarda, come se ne avesse avuto già abbastanza delle sue domande
e con aria di sufficienza gli intima di sedersi sul divano. Enrico
non demorde: «Puoi dire a chi ti manda, che mi dovranno ammazzare,
come hanno sempre fatto, ma informali che dopo di me, comunque, ne
verranno altri».
L’aggressore, ora, gli ordina di telefonare al suo collaboratore per raggiungerlo,
ed Enrico suo malgrado è costretto a chiamare. Il telefono
squilla, ma dall’altra parte non risponde nessuno; dopo il quinto squillo,
infatti, si inserisce la segreteria.
«Lasciagli un messaggio».
«Cosa gli devo dire?»
«Di raggiungerti qui appena rientra, perché hai grosse novità da comunicargli
di persona».
Enrico ubbidisce suo malgrado.
«Rilassati, perché dovremo aspettare finché non arriva il tuo socio», commenta
con tono sarcastico. Enrico intuisce che le intenzioni dell’uomo
sono peggiori di quelle che potesse immaginare. Sicuramente aspetterà
che arrivi Alessandro, e poi ci farà fuori tutti e due. Devo escogitare qualcosa,
prima che sia troppo tardi.
Il suo è un carattere forte e determinato, forgiato da anni di duro lavoro,
è un uomo che si è formato sul campo. È stato un giornalista di primo
piano, un inviato speciale di guerra, un attivista nel Sessantotto e ora l’intuito
gli suggerisce di agire in fretta, in maniera istintiva.
Intanto, l’uomo con il passamontagna, nell’attesa della sua seconda vittima,
si accomoda su una sedia. Dopo circa mezz’ora si sentono le porte
dell’ascensore che si aprono. L’uomo si alza per controllare dallo spioncino,
ma così facendo, però, si distrae dando le spalle ad Enrico che con un
movimento fulmineo, si alza, prende una sfera di vetro posata sul tavolino
e gliela sferra addosso con tutta la forza. Il lancio è perfetto, come quello
di un giocatore di baseball. L’oggetto, colpisce la schiena dell’aggressore
talmente forte che gli fa cadere la pistola a terra. Enrico lo raggiunge e
comincia una nuova colluttazione tra i due. L’uomo, anche se molto provato
dai colpi subiti, è sempre molto più forte di lui, tuttavia Enrico con
la mano sinistra riesce a sfilare il passamontagna al suo aggressore.
Finalmente riesce a vederlo in faccia. Ha i lineamenti marcati, il viso squadrato
e i capelli biondi. La pelle è molto rovinata, ha una cicatrice sul lato
sinistro del labbro che gli conferisce un’espressione agghiacciante.
L’accento è meridionale, forse siciliano.
Le cose per Enrico si complicano: all’improvviso, riceve un pugno ben
assestato in pieno viso che lo stordisce completamente.
Comincia a sanguinare dalla bocca e per giunta non riesce più a vedere
dall’occhio sinistro, perché gli lacrima notevolmente.
Il piano per l’aggressore non sta andando come previsto, quindi in corso
d’opera, decide di cambiarlo.
Con la mano destra estrae un coltello da dietro la schiena e lo infilza nel
fianco sinistro di Enrico che in quell’istante, si sente mancare le forze e
capisce che per lui, ormai, non c’è più speranza.
Da vero professionista il biondo non perde la calma, si alza e trascina la
sua vittima, a peso morto, verso il centro della stanza. Enrico preso dal
dolore non reagisce più. Il biondo, allora completa l’opera e gli infligge
altre sei coltellate nell’addome.
Enrico chiude gli occhi e, mentre muore, rivolge l’ultimo pensiero alla
figlia Sara e alla moglie che spera di raggiungere al più presto.
L’assassino, con tutta calma, esce dall’appartamento lasciando la porta
aperta e, accertandosi che nessuno lo veda, scende giù per le scale e si
dilegua dal retro del palazzo.

Capitolo primo

Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.
Ezra Pound

Circa un’ora dopo, i coniugi Rossi stanno tornando a casa dopo aver
trascorso la serata a casa di amici. Ancora non sanno che quella sera
sarebbe accaduto qualcosa di sconvolgente. Sono una coppia di anziani,
vicini di casa di Enrico Costa. Entrano nell’androne del palazzo, salutano
il custode Giacomo, un uomo di quarantacinque anni, simpatico, sempre
con la battuta pronta.
«Signori Rossi, niente ore piccole questa sera?»
«No, caro Giacomo, domani vogliamo alzarci presto per andare a fare
una bella passeggiata al parco», risponde lei.
«In questo caso, allora buona notte».
«Buona notte».
Prendono l’ascensore e arrivati al settimo piano, mentre si dirigono verso
il loro appartamento, la signora nota che la porta del Costa è spalancata.
Incuriosita, si avvicina all’uscio e intuisce che all’interno c’è qualcosa che
non va. Vede a terra oggetti rotti e un disordine generale, come se ci
fosse stato un terremoto. Impaurita chiama il marito e insieme, timidamente,
decidono di entrare per dare un’occhiata. Chiamano il padrone di
casa, ma non ricevono risposta. All’improvviso, però, vedono un uomo
di spalle chino su un corpo riverso per terra. L’uomo si gira di scatto, ha
le mani completamente insanguinate e lo sguardo impaurito.
La signora Rossi non lo aveva mai visto prima e, terrorizzata, emette un
urlo terrificante.
L’individuo, senza nessuna spiegazione, preso dal panico, le corre incontro,
la spinge e fugge dall’appartamento.
Scende le scale di corsa senza prendere l’ascensore, passa dall’androne
così velocemente che il custode Giacomo riesce appena a vederlo di spalle
mentre apre il portone per scappare via.
Intanto, al settimo piano la signora Rossi continua a piangere e a gridare,
attirando l’attenzione degli altri inquilini.Ormai è notte fonda quando
squilla il telefono a casa dell’investigatore Giorgio Falk.
«Chi diavolo è a quest’ora? Pronto, chi parla?»
«Ispettore, scusi l’orario, sono Colella, vi chiamo dalla centrale, c’è stato
un omicidio in via Marconi n. 147, ai Parioli, credo sia meglio che andiate
subito. Sul posto c’è già una pattuglia che stava in zona, ci ha riferito che
il cadavere molto probabilmente è quello di Enrico Costa».
Falk si tira giù dal letto di scatto e chiede conferma di aver capito bene.
«Ma chi? Il giornalista della RAI? Ma siete sicuri?»
«I colleghi pensano di sì, l’abitazione è la sua, solo che non hanno potuto
identificare il cadavere perché il volto è completamente sfigurato e insanguinato
». Falk interrompe bruscamente la conversazione.
«Va bene Colella, basta con i particolari, mandami subito sul posto la scientifica
e butta giù dal letto Marco Romano, lo voglio lì tra mezz’ora».
Poco dopo, Marco Romano chiama al cellulare dell’ispettore.
«Giorgio, sono Marco, sto passando a prenderti, appena sei pronto scendi,
ti aspetto sotto casa».
Falk sale nell’auto di Marco e insieme si dirigono a tutta velocità sul luogo
dell’omicidio. Dopo dieci minuti sono già arrivati in via Marconi. La
strada era stata già bloccata. Marco fa aprire il passaggio dall’agente di
piantone. Parcheggiano davanti al portone, scendono di corsa e si dirigono
al settimo piano. Giunti sul posto si avvicina un agente.
«Salve ispettore, siamo stati io e l’agente Calia ad arrivare per primi sul
posto».
Falk continua a camminare verso il cadavere, chiedendo informazioni.
«C’è qualche testimone?»
«Sì, i vicini di casa. I signori Rossi».
«Cosa hanno visto?»
«Un uomo sui trentacinque-quaranta anni ben vestito, con una giacca di pelle
nera, vicino al cadavere. Appena si è accorto di loro, è scappato via di corsa
dalle scale. Doveva avere le mani insanguinate perché abbiamo trovato il passamano
della ringhiera sporco di sangue».
La scena che si presenta agli investigatori è al quanto agghiacciante. Il cadavere
è riverso di spalle a terra in una pozza di sangue, ha il viso completamente
tumefatto e ha l’addome accoltellato in più punti. L’arma del delitto è un normale
coltello da cucina, lasciato sul luogo del delitto. Falk e Romano cominciano
a raccogliere indizi. Perlustrano l’ambiente, cercano di immaginare cosa
possa essere accaduto e intanto si scambiano opinioni. Arrivati in camera da
letto, Falk si accorge di alcune macchie di sangue sulla coperta, esattamente
sul lato destro del letto.
«Marco!» esclama Giorgio.
«Fai venire qualcuno della scientifica per prelevare queste macchie di sangue
e fai fare un identikit dell’uomo che i testimoni hanno visto scappare via».
All’improvviso si sentono delle urla di disperazione provenienti dal salone.
Falk e Romano accorrono immediatamente e vedono una giovane
donna che sta piangendo. Marco affascinato dal sesso femminile non può
fare a meno di notare che si tratta di una bellissima donna, alta circa un
metro e settantacinque, snella, sui trentacinque anni, bionda, con i capelli
lunghi e corposi, labbra carnose, occhi celesti, naso sfilato e un po’ di
lentiggini sul viso che le danno un tocco particolare.
È vestita con eleganza, con una gonna a strisce sul bordeaux appena sopra
il ginocchio, stivali alti che fanno risaltare la perfezione delle gambe.
Sopra indossa una giacca di pelle nera con una camicia di seta color oro
antico. I polsini della camicia escono fuori dalle maniche della giacca con
il risvolto all’insù.
L’unica pecca... il pianto le aveva rovinato il leggero trucco.
«Chi diavolo l’ha fatta entrare?»
«Ispettore, non siamo riusciti a bloccarla in tempo, ha detto di essere la
figlia».
Sì! È proprio la figlia di Enrico, Sara, che alla vista del cadavere di suo
padre si getta addosso al suo corpo inerme, nella speranza che quello che
sta vivendo sia solo un brutto sogno.
Le vengono in mente tutti i bei momenti passati da bambina con lui e
sua madre.
Si ricorda quanto le mancava quando stava fuori casa, per lunghi periodi
di tempo a causa del suo lavoro, quando non vedeva l’ora che lui tornasse,
sapendo che al suo rientro le avrebbe portato sicuramente qualche
regalo. A quel punto Falk si avvicina alla donna e con aria mortificata,
come per chiederle scusa, la invita a seguirlo in cucina.
«Mi scusi per la mia sfuriata, sono un tipo un po’ burbero, e con il mio
mestiere non ho fatto che peggiorare questo aspetto del mio carattere».
«Non si preoccupi, ho altro a cui pensare», risponde lei continuando a
piangere.
«Ma prego, si accomodi. Ha visto il cadavere, è sicura che sia quello di
suo padre?»
«Sì, è il suo».
«C’era qualcuno che voleva la sua morte? Qualcuno che lo minacciava?»
«Non lo so, non lo so!» risponde disperata.
«L’ultima persona che ha visto suo padre, non è certo venuto qui per derubarlo.
Dalle prime impressioni, sembrerebbe che si conoscessero. Non
abbiamo trovato segni di scasso, quindi o suo padre lo ha fatto entrare
perché lo conosceva, oppure l’assassino ha avuto modo di entrare prima,
aspettando il suo rientro».
Sara si sforza di rispondere alle domande martellanti di Falk.
«Non ho proprio idea di chi abbia potuto volere questo. Certo mio padre,
a causa delle sue inchieste si era creato un bel po’ di antipatie, ma qualcuno
che potesse arrivare a tanto... non so, e poi chi sarebbe potuto entrare,
le chiavi le avevamo solo noi, ma»... riflette, «a pensarci bene le aveva anche
la donna delle pulizie, ma è una bravissima persona. La conosciamo
da tanti anni, non penso che lei c’entri qualcosa»...
Romano interviene nella discussione: «Non è detto che c’entri lei direttamente,
ma qualcuno che abbia potuto prelevare le chiavi e magari duplicarle.
Sta di fatto che non risulta nessuna attività di scasso, abbiamo già
controllato tutte le entrate, quelle che davano all’esterno erano chiuse e
l’unica porta aperta era quella d’ingresso».
Falk, insiste: «Qualsiasi particolare, anche il più insignificante, si ricordi,
può essere molto utile alle indagini. Hanno visto fuggire un uomo sui
trentacinque, quarant’anni, alto circa un metro e settantacinque, capelli
neri, lunghi, appena sopra le orecchie, una giacca di pelle nera, magro. Le
ricorda qualcuno?»
Sara mortificata non può far altro che rispondere di no. La discussione
viene momentaneamente interrotta da un agente che si avvicina a Falk.
«Ispettore, c’è di là il direttore della RAI che vorrebbe entrare».
«Lo faccia accomodare».
Nel frattempo, mentre Roberto cercava di calmare Sara, entra Luigi Ponzi
direttore generale delle reti televisive di stato, intimo amico di Enrico
Costa, suo coetaneo.
Un passato condiviso insieme a lui, a partire dai moti studenteschi del
Sessantotto, tempi gloriosi per i due, quando i venti dell’anticonformismo
arrivarono anche in Italia.
Il movimento politico-culturale di carattere internazionale ebbe le prime
manifestazioni già nel 1964 con l’occupazione dell’università di Berkley,
in California, quando gli studenti americani chiedevano di poter intervenire
sui metodi di insegnamento, sulla finalità della ricerca universitaria
asservita agli interessi industriali, in particolar modo di quella bellica e di
utilizzare gli atenei per poter discutere dei problemi sociali.
Questo divenne il filo conduttore di tutte le contestazioni negli Stati Uniti,
dalla guerra in Vietnam, alla discriminazione razziale.
I venti di liberazione si diffusero su tutto il pianeta dall’Africa all’America
Latina e, con la rivoluzione cubana e l’impegno internazionalista di
Ernesto Che Guevara, il movimento arrivò anche in Europa. Interessò
soprattutto le nuove generazioni che contestavano l’ordine costituito e i
valori dominanti del periodo in questione.
Alle rivolte studentesche si unirono i lavoratori e altri vari gruppi che
contestavano le classi dirigenti.
In Italia ci furono numerose assemblee nazionali per coordinare le occupazioni
dei più importanti atenei, dando origine a un’alternanza di occupazioni
e sgombri polizieschi delle sedi universitarie. Si alternavano
manifestazioni a scontri di piazza, il più famoso dei quali fu quello del 1°
Marzo a Valle Giulia a Roma presso la facoltà di architettura, dove Luigi
ed Enrico si conobbero durante gli scontri con i poliziotti.
Da lì cominciò una lunga amicizia durata una vita, fatta di alti e bassi
come in qualsiasi rapporto. Pur essendo molto diversi di carattere, la loro
amicizia nel tempo si era sempre più consolidata. Luigi, a differenza di
Enrico, però era un tipo molto più incline alla mediazione, disposto a
cambiare radicalmente le sue posizioni pur di raggiungere i suoi obbiettivi.
Per questo motivo era riuscito a scalare i vertici dirigenziali della RAI,
al contrario di Enrico che, pur essendo molto più abile di lui, era rimasto
sottoposto a dirigenti che cercavano di tenerlo a freno durante le sue
inchieste, anche se con scarsi risultati.
Quando Luigi entra in cucina e vede Sara così disperata, le va incontro
per abbracciarla e consolarla con parole amorevoli.
«Oh Sara! Che cosa terribile. Qualsiasi cosa di cui tu debba avere bisogno
non esitare a chiedermela».
Lei affranta dal dolore: «Ti ringrazio Luigi, lo so».
«Lo sai che se fosse accaduto qualcosa a me, tuo padre avrebbe fatto la
stessa cosa con i miei figli. Quindi, se posso, voglio esserti vicino come
un padre».
Falk, mortificato, è costretto a interrompere il direttore della RAI per
rivolgergli le stesse domande fatte in precedenza a Sara.
Ma anche il direttore Ponzi, come se cadesse dalle nuvole, non sa dargli
nessun indizio valido, per il momento.
L’ispettore a quel punto si congeda dai due lasciando il suo biglietto da
visita, con la raccomandazione di essere chiamato in qualsiasi momento,
se fosse venuto loro in mente qualche particolare.
Raggiunto Marco, che nel frattempo era impegnato a prendere appunti
sugli indizi rilevati, gli si avvicina e a bassa voce gli sussurra: «Marco, non
so, c’è qualcosa di strano in questo omicidio. La figlia non mi ha saputo
dire niente, il direttore della RAI altrettanto e il presunto assassino che è
scappato via ha ucciso Costa senza un movente preciso».
«Dobbiamo scavare nella sua vita privata», commenta Marco.
«No. Marco, non credo, comunque per ora fai mettere tutti i telefoni
sotto controllo».
«Pure quello della figlia?»
«Sì! Anche quello del direttore».
«Hai dei sospetti su tutti e due?»
«No! Ma non è possibile non avere almeno un indizio»...
Falk, dopo essersi assicurato che l’identikit fosse stato fatto, si rivolge ai
signori Rossi, invitandoli a presentarsi l’indomani mattina alla centrale.
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Recensione del libro ad opera del Procuratore S. Cosentino 

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