Capitolo Primo
Fiutato dalle iene
Era un giovedì sera, era da tempo che non scendevo per un drink con gli amici, ultimamente stavo conducendo una vita poca mondana.
Le sempre maggiori responsabilità lavorative e mia figlia che stava crescendo e reclamava sempre più tempo da passare col padre, lasciavano poco spazio e poche energie da dedicare ad altro. Quella sera, però, avevo confermato la mia partecipazione ad un evento e quindi subito dopo la chiusura del mio Centro medico raggiunsi gli amici nella zona della movida napoletana quella conosciuta come “i baretti”. Avevo appuntamento con Raffaele, amico storico ed icona di quel quartiere. Sorseggiamo uno spritz allo “Chandeliere Cafè” e li incontrammo la vulcanica Mariateresa. Un’amica di lunga data con la bellezza di un cigno e l’irruenza di un toro. Un vulcano di simpatia, che sarebbe a suo agio tanto sulla copertina di un giornale di moda quanto alla guida di un camion, riuscendo perfettamente ad incarnare entrambi i personaggi.
Mariateresa era ben spalleggiata dalla collega Dora ed entrambe decisero di proseguire con noi la serata nel vicino locale “occhi occhi ohh” dove si svolgeva l’evento al quale dovevo partecipare.
Parlammo, ridemmo, scherzammo, bevemmo ma non tanto, anche perché i movimenti bruschi di Mariateresa, il suo vizio di strattonarti mentre ti parla con una forza che non trova ragione d’essere in quel fisico da modella fecero si che l’alcol presente nel bicchiere finisse più a terra e sulle pareti che dalla mia bocca giù nello stomaco.
Fu sempre la mia vulcanica amica a proporre di uscire a fumare una sigaretta. Io sono sempre stato dell’idea che bisognerebbe evitare, ma mai come quella sera l’aver accettato di uscire a fumare avrebbe avuto conseguenze così dannose per il mio prossimo futuro.
Fu all’entrata del locale, infatti che incontrai l’amico Vittorio F. un ragazzo che avevo conosciuto qualche anno prima che lavorava nell’ambito delle produzioni ed era spesso circondato da vallette in erba o ex gieffine. Non c’eravamo mai frequentati ma avendo tanti amici in comune c’era sempre stato grosso rispetto e piacere nell’incontrarci. Vittorio era in compagnia di Umberto un ragazzo sulla quarantina, viso pulito naso aquilino un po’effeminato negli atteggiamenti con una pashmina chiara che gli cingeva il collo e che forse contribuiva ad alimentare quella mia sensazione sulla sua ambiguità. Un ragazzo comune, non un viso sveglio ne un espressione particolarmente intelligente, non avrei mai detto potesse essere un autore del famosissimo programma televisivo Le Iene. Almeno non al tempo in cui pensavo che Le Iene facessero solo servizi intelligenti, poi la mia personalissima idea, dopo quello che ho subito, è un po’ cambiata ed oggi l’espressione di Umberto forse è quella che meglio rappresenta la mia idea di alcuni servizi di quel programma.
“Umberto, lui è Francesco Amodeo un imprenditore nel settore della sanità, una persona che stimo molto, è un lavoratore serio che però sa anche trovare il modo di divertirsi” furono queste le lusinghiere parole con le quali Vittorio m’introdusse all’amico Umberto e poi aggiunse “credo proprio possa fare al caso tuo”. Umberto mi strinse la mano e mi sorrise, poi spiegò: “sto facendo una domanda a tutti gli imprenditori che Vittorio mi presenta e che io ed i miei colleghi incontriamo in giro per capire cosa ne pensano della crisi. Ti va di darmi il tuo parere?” Mariateresa fumando a pochi passi da me scoppio a ridere e tornò a strattonarmi, fortuna volle che non avevo più il drink tra le mani e la cenere fu l’unica cosa che mi cadde sulla camicia. “E’ sicuramente una crisi psicologica - risposi prontamente - nel senso che per capirne le vere cause ed i veri mandanti bisogna prima di tutto analizzare l’impatto psicologico che ha avuto sugli italiani”. Non feci a tempo a finire l’ultima parola che Mariateresa col suo accento inconfondibile esclamò “Amodeeeeeè ma tu si semp nu filosofo” e lo disse mentre provava a togliersi uno degli stivali per rispondere alla provocazione di Raffaele che l’accusava di avere qualcosa nelle scarpe che la rendesse così alta. Umberto mi guardò compiaciuto per la risposta poi guardò Mariateresa che sventolava il suo calzino, ci guardammo negli occhi ed io allungandogli un mio biglietto da visita esclamai: “non credo sia questo il luogo ne il momento adatto per perderci in lungaggini sulla crisi economica, sul complottismo o sul signoraggio bancario se lo ritieni opportuno mi chiami e magari ne riparliamo ”.
“Francesco non posso dirti niente” aggiunse Vittorio salutandomi, “anche a me è stato detto poco ma ti assicuro che si tratta di una trasmissione Mediaset molto seguita e credo che Umberto sia rimasto colpito dalla tua storia e dalla tua risposta e può uscire un bel servizio anche per te”. Ci salutammo, aspettai che la mia singolare amica la finisse di litigare con la cerniera del suo stivale ed uscimmo dal locale.
Il giorno dopo ero a lavoro quando arrivò la telefonata di Umberto. Fu una telefonata molto cordiale si complimentò per la risposta che gli avevo dato la sera prima, disse che era stata diversa da quelle che aveva raccolto in giro e voleva dedicarmi spazio nel servizio. Mi disse che ero stato concreto andando a ricercare cause e mandanti della crisi senza peli sulla lingua senza piangermi addosso ma dando invece l’idea di una persona che vuole reagire a questo stato di cose e vuole farlo con forza e ottimismo. Mi sentii lusingato dalle sue parole anche perché aveva usato alcuni aggettivi come forza, ottimismo che adoro quando vengono accostati alla mia persona.
“Spiegami meglio il tuo concetto mi chiese nuovamente”.
“Umberto io sono un appassionato della tesi sul complottismo internazionale –spiegai- e sono dell’idea che con questa crisi hanno voluto colpire psicologicamente gli italiani, hanno voluto che sentissero lo spettro del fallimento e la paura di perdere tutto. Perché la paura immobilizza e rende passivi e più accondiscendenti alle scelte di chi ci governa. Siamo stati messi sotto pressione da chi ha voluto imporci delle scelte fino a qualche tempo fa impensabili in una democrazia e portai l’esempio del Governo tecnico.” “Ma i soldi ci sono chiese Umberto?” “ Il problema non è che i soldi non ci sono – risposi- perché l’Italia è sempre un paese produttivo , il problema è che lo Stato i soldi li toglie agli italiani. E ce li toglie perché se rimaniamo senza e con l’acqua alla gola non abbiamo la forza di ribellarci, non possiamo gridare altrimenti affoghiamo.”
Umberto rincarò la dose costringendomi ad andare fuori tema. “Si ma i soldi ci sono?”
“Quelli ricchi sul serio, da generazioni, sono sempre ricchi forse anche di più perché la crisi ha aperto la strada alle speculazioni, oggi per chi ha i soldi è più facile farne di più così come è più facile comprare case a buon prezzo o rilevare aziende. Ma anche per loro è diventato tutto più difficile perché è nata la paura di spendere sia per la crisi dilagante che in un certo senso fa sentire in crisi anche chi non lo è realmente sia per i nuovi controlli sul reddito che inibiscono seriamente i consumi da parte dei più ricchi”.
Umberto m’interruppe: “ti andrebbe di ripetermi tutto questo in telecamera”? mi chiese. “Con piacere” risposi.
L’autore mi disse che avremmo potuto incontrarci dove c’eravamo visti la sera prima o in qualche altro posto di mio gradimento ma io risposi che trattandosi di un’intervista importante e per di più per una televisione avrei preferito maggiore concentrazione e in un posto di rappresentanza che meglio si addiceva alla natura dell’argomento da trattare e così lo invitai il giorno dopo a venire nel mio ufficio. Precisai che il sabato l’orario di chiusura del Centro era alle 14:00 e che se avesse voluto intervistare anche qualcuno tra gli utenti della Diagnostika doveva arrivare entro quell'ora Spiegai che trattandosi di un centro convenzionato, aveva un bacino d’utenza prevalentemente nella fascia povera della popolazione e quindi avrebbe potuto trovare materiale interessante per un servizio sulla crisi.
Umberto mi confermò la location che avevo proposto e si fece dare l’indirizzo completo ma non seppe darmi conferme sull’orario, del quale, mi disse, doveva discuterne con il collega che lo avrebbe accompagnato. L’unica cosa che mi chiese era di fare il possibile per organizzare qualcosa anche per la sera magari in un bel locale o in una bella festa in modo da mostrare i due lati di un imprenditore sia sul lavoro che nella vita al di fuori dell’azienda. Le sue richieste furono molto strane all’inizio, mi chiese addirittura di fare il possibile per continuare il servizio su una barca con un po’di gente simulando un aperitivo in mezzo al mare. Trovai molto strana la richiesta, sia perché si parlava di ‘fingere’ un aperitivo in mezzo al mare sia perché era l’ultima settimana d’Ottobre e non capivo come si potesse ancora prendere in considerazione l’idea di trovare una barca ed amici disposti ad uscire per mare come se fosse piena estate. Quindi glissai subito, assicurandolo però, che avrei cercato una location elegante per la sera. La prima persona che mi venne in mente fu il mio caro amico Francesco S. noto imprenditore del by night napoletano e proprietario di uno dei locali più eleganti della città se non addirittura del Sud Italia. Lo chiamai e gli spiegai la situazione, ma lui m’interruppe subito e mi disse che Umberto aveva avuto anche il suo contatto proprio per girare nel suo locale e stavano valutando l’idea di fare un intervista con lui. “Perfetto - esclamai felice - chiamalo subito e digli che siamo amici così stasera continuiamo il servizio insieme”. Francesco era entusiasta e suggerì che potevamo cenare nella sala superiore del suo locale e fare li l’intervista in un’area riservata. “Per me va bene - aggiunsi – mi hai tolto un peso, non avrei saputo dove portarli se non da te e sono contento che anche tu prenda parte al servizio”. A quel punto gli chiesi se sapeva di cosa si trattasse precisamente. “Mi hanno detto un programma di Italia 1 ma sono stati molto vaghi”, aggiunse.
“Ma davvero – esclamai - allora ci aggiorniamo dopo, tu chiama Umberto e avvertilo che dopo saremo insieme”.
Prima di riagganciare Francesco mi chiese di aggiornarlo dopo la mia intervista e di assicurarmi che fosse una cosa seria: “Dobbiamo esserne certi, stiamo mettendo la faccia della mia e della tua azienda” sentenziò.
Il sabato alle 14:15 mentre mi apprestavo alla chiusura della Diagnostika al pubblico e congedavo l’ultimo dottore ed il tecnico di radiologia, il mio telefono squillò. Sul display apparve la scritta “Umberto Crisi”, lo avevo memorizzato così sul telefono in un primo momento forse come presagio alla crisi che avrebbe portato nella mia vita con la messa in onda del suo servizio o forse per la crisi in cui avrei giurato poi di mandare la sua coscienza per quello che mi aveva fatto.
Risposi e mi disse che era fuori alla strada all'indirizzo che gli avevo dato e stava cercando un posto dove parcheggiare, ma io gli spiegai che gli avrei aperto il cancello e - anche se era contro le regole condominiali - gli avrei permesso di mettere la macchina nello spazio adiacente all'entrata del Centro. Gli andai incontro e gli feci segno di seguirmi, aprii il cancello, lo invitai ad entrare e gli indicai dove posteggiare l’auto. In quel momento con mio grande stupore dalla macchina scese Enrico Lucci in pieno stile Iena con tanto di abito scuro, camicia bianca, cravatta nera e occhiali. Scese dall'auto mi diede la mano e la prima cosa che fece fu un commento alla pista ciclabile che attraversa tutto il Viale Augusto dove ha sede il mio ufficio.
“Non sapevo ci fosse una pista ciclabile in questa zona” esclamò.
“Per me è una fortuna” risposi, spiegando che avevo da tempo venduto la macchina e raggiungevo l’ufficio in bici ma ero consapevole che aveva creato grossi problemi per il parcheggio.
Mary, la mia compagna, che mi stava aiutando a sistemare l’ufficio e a far sparire un po’ di carte per renderlo più presentabile rimase di stucco quando si trovò davanti Enrico Lucci e non potette fare a meno di esclamare: “ma allora siete Le Iene”.
Ci fu un attimo di silenzio, io e Mary ci guardammo con fare sospetto al che io ruppi il ghiaccio e ammisi con sincerità che con tutto il rispetto per Lucci ma avevo sentito dire che i suoi servizi erano solitamente mirati a deridere l’intervistato o comunque a banalizzare le tematiche affrontate. Umberto intuì il mio disagio e le mie perplessità e fu il primo a parlare assicurandomi che i servizi di Enrico Lucci non erano mai stati a senso unico e che comunque non avrebbe chiesto a Vittorio di presentargli qualche amico se poi avesse intenzione di deriderlo. Mi disse che era un servizio sulla crisi a 360 gradi e che quindi l’avrebbe mostrata da una prospettiva più seria ad una meno seria ma sicuramente aver scelto di farlo dalla direzione di un centro medico era la prova che la mia intervista sarebbe rimasta dentro certi canoni e nulla avrebbe potuto creare problemi ne all'immagine mia ne all'immagine del Centro stesso.
Se io ora penso a quanto sono stato stupido mi prenderei a schiaffi. In un mondo come quello dello spettacolo dove non puoi avere fiducia neanche del tuo amico più caro o del collega più affezionato, come avevo mai potuto pensare che Vittorio, un mio conoscente, a sua volta conoscente di Umberto potesse essere per me una garanzia sufficiente alla serietà del servizio in questione. Che stupido! la voglia di apparire mi aveva offuscato. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.!!!
Pochi secondi dopo che entrammo, Lucci mi chiese se volessi tenere gli occhiali durante l’intervista. Io sorrisi. In quel frangente pensavo ancora fosse una battuta e risposi semplicemente che non erano occhiali graduati ma da sole, poi rimuginando sulla sua strana proposta cominciai ingenuamente a pensare che forse con la telecamera accesa avrei avuto un forte faro di luce in faccia ma lui mi tranquillizzò rispondendo alla mia obiezione e quindi mi arresi all’idea che la proposta di mantenere gli occhiali fosse solo una battuta. Oggi mi rendo conto che no fu affatto una battuta, era venuto già con l’idea di farmi apparire ridicolo e gli avrebbe fatto gola se fossi caduto nel tranello facendomi intervistare in un ufficio con lenti da sole. La prima trappola fu troppo evidente e la evitai senza pensarci ma come vedremo in seguito ce ne saranno altre invece nelle quali inciamperò inconsapevolmente facendomi molto male. Entrammo e ci accomodammo, Umberto aveva la telecamera in mano, Lucci aveva il microfono. Mentre mi sedevo, il giornalista sfiorò la parete del mio ufficio e mi chiese se quel materiale fosse radica di noce. Io distrattamente risposi di si e lui si complimentò. Ovviamente l’intervista per me non era ancora iniziata e mai potevo immaginare che il dettaglio dell’orologio fatto qualche minuto prima a mia insaputa, quello degli occhiali in esterna mentre io pensavo stesse riprendendo l’entrata dello studio e la domanda sulla radica di noce dell’ufficio, rientrassero già nel suo piano denigratorio e nella sua idea del servizio che doveva venir fuori. Mi sedetti, Lucci venne di fianco a me un po’più spostato indietro in maniera che mi fosse difficile vederlo in faccia o percepire le sue espressioni mentre guardavo in telecamera.
La prima domanda, che mi fece, che poi fu quella che io pensavo dovesse essere l’unica, fu appunto “Cosa ne pensi della crisi”. Io avevo in precedenza avvertito gli autori che per attenermi a quello che avevo già espresso per telefono così come loro mi avevano chiesto e per rompere il ghiaccio con la telecamera avevo annotato il testo della risposta su un pezzo di carta in modo da potermi aiutare gettando l’occhio nel caso in cui l’emozione mi avesse fatto perdere il filo.
L’intervista ebbe inizio ma non riguardò, come mi fu detto inizialmente, soltanto la registrazione della mia risposta alla domanda sulla crisi. Durò circa 65 minuti e sarebbe probabilmente continuata se io ad un certo punto non avessi deciso di interromperla perché insospettito da alcune domande tendenziose, cominciai a credere seriamente che il servizio potesse avere finalità diverse da quelle che mi erano state prospettate.
Dal giorno dell’intervista al giorno della prima puntata delle Iene 2013, passarono circa 3 mesi. In quei mesi io non contattai mai l’autore del servizio –nonostante avessi il numero del cellulare- per sapere notizie riguardo la messa in onda. Tenendo conto che avevo interrotto l’intervista e che non mi era stata fatta firmare alcuna liberatoria e non avendo proseguito il servizio anche la sera come da accordi iniziali ero certo che il mio intervento non sarebbe più stato inserito nel servizio. Fui io stesso, infatti, dopo l’intervista in ufficio a telefonare prontamente all'amico Francesco e a suggerirgli di declinare l’invito delle Iene e non effettuare nessun servizio con loro. Io ero convinto di essere riuscito a gestirli nelle risposte ma a Francesco dissi testuali parole: “l’intervista non mi è piaciuta, saltavano da un argomento all'altro mi pressavano su domande che non avevano alcuna attinenza con la crisi ed erano spesso tendenziosi. Se ti fai intervistare tra la gente la cosa potrebbe sfuggirti di mano. Io ho deciso di non proseguire stasera e consiglio anche a te di evitare”. Francesco per sua fortuna mi stette a sentire e non si rese disponibile per l’intervista.
Era il 13 gennaio 2013 erano le 23:30 circa, Mary era fuori Napoli in visita alla mamma a Tortona. Io ero a casa con Genny il mio ex coinquilino, avevamo appena finito di cenare e dal computer portatile stavamo commentando alcune foto di face book seduti sul divano. La tv era ferma su La7, il volume quasi completamente abbassato. Genny lesse alcuni commenti sulla sua home page dedicati all'inizio della nuova edizione delle Iene, così prese il telecomando, mise Italia 1 ed alzò il volume. Guardammo insieme la prima parte, poi Genny vista l’ora decise di andar via. Subito dopo che lo accompagnai alla porta e tornai in salone, vidi Lucci sullo schermo. Lo sentii introdurre un servizio sulla crisi ma con parole talmente surreali che mai potevo immaginare che sarei stato io stesso il protagonista di quel servizio vergognoso.
Pochi secondi ancora e sentii cadermi il mondo addosso.
Il servizio che andò in onda non era un servizio sulla crisi ma al contrario era un servizio su quelli che la crisi la negano. La mia risposta sulla crisi psicologica era stata totalmente decontestualizzata ed era stata tagliata la spiegazione iniziale. Non c’era nessun accenno alla teoria del complottismo che secondo me era alla base della crisi che stavamo vivendo. Non c’era accenno alle difficoltà che le aziende come la mia stavano affrontando ne ai discorsi che avevamo portato avanti sui danni causati dai ritardati pagamenti delle Asl. Non c’erano le mie frasi in cui mi dichiaravo oculato, attento nella gestione dei soldi. Nessun accenno alle mie battaglie professionali, ai miei impegni. Delle mie frasi erano state montate solo le risposte alle sue domande sui viaggi, ai discorsi che avevamo fatto sulle abitudini della classe ricca. Ma come se non bastasse dalla velocità del montaggio e dalle aggiunte fuoricampo dell’intervistatore sembrava che tutto quello che stessi raccontando lo avessi fatto io in prima persona e lo avessi fatto facendomi scherno di chi subiva la crisi. Persino il mio libro veniva deriso. Avevano mandato in onda anche la scena di quando sollevandomi la camicia avevo mostrato a Lucci il tatuaggio della frase latina da cui è tratto il mio racconto. Anche i temi del mio romanzo venivano spiegati dandone una versione totalmente distorta e falsa. Tutto era come in un incubo dove le immagini sono deformate, intermittenti e le parole confuse senza logica. Ma come se non bastasse erano state prese foto mie da Facebook e mandata in onda l’immagine di una bottiglia di champagne che accompagnava i miei racconti. Ne veniva fuori il ritratto di una persona arrogante, sprecona, presuntuosa, ridicola, stupida e fuori dalla realtà. Ho avuto tanti difetti nella mia vita ma quello che mi ha sempre contraddistinto ed è stata sempre la mia bandiera è proprio l’umiltà e la forte forma di rispetto verso gli altri. Questa è una realtà incontrovertibile. Ma di questa realtà in quel servizio non c’era stata alcuna traccia.
Perché mi avevano fatto questo? Perché mi avevano inserito in quel contesto in cui altri intervistati raccontavano megalomanie assurde, sprechi, sperperi ed erano così lontani dalla mia persona e dal mio stile di vita. Perché creare a tavolino un personaggio che non esiste nella realtà? Come sarei potuto uscire di casa? Come avrei potuto guardare in faccia i pazienti del mio Centro, i miei dipendenti, i miei collaboratori, i miei vicini, i genitori delle amiche di mia figlia, la sua maestra; come potevo spiegare a tutti la realtà dei miei interventi?
Non trovavo spiegazione a quello che avevo visto. Eppure di quell'intervista integrale ricordavo tutto come se l’avessi appena conclusa.Ripensai alle immagini andate in onda e ripensai alle risposte che avevo dato cercando di dare un senso a quello che era successo ma era tutto tremendamente insensato.
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