CAPITOLO I
«HABEMUS PAPAM»
«...mi hanno preso alla fine del mondo».
Papa Francesco, 13/03/2013, Omelia di Inaugurazione del Pontificato.
FUMATA BIANCA
Sono le 19:06 del 13 marzo 2013.
Sotto una pioggia scrosciante, la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina comunica alla folla riunita in Piazza San Pietro e a tutti i fedeli e curiosi collegati in mondovisione che è stato eletto il nuovo Pontefice. Il 266° della storia. Gli applausi e le urla di gioia coprono il suono delle campane. Dopo un’ora le nubi decretano una tregua sui fedeli raccolti nella piazza. Dalla loggia della basilica il cardinale Jean Louis Tauran si affaccia per svelare l’identità del nuovo pontefice. Tutti credono che la scelta sia caduta su Angelo Scola, Marc Ouellet o su Timothy Dolan. E invece il nuovo Vescovo di Roma coglierà di lì a poco tutti di sorpresa. Al quinto scrutinio, in netto anticipo sulle previsioni, è arrivato infatti un segnale forte da parte del collegio cardinalizio che, nonostante i recenti scandali che hanno sconvolto la Chiesa Cattolica, ha voluto eleggere in fretta il successore di Benedetto XVI. A lui toccherà “riformare” la Chiesa in crisi.
A lui sono rivolti gli occhi e la speranza di due miliardi di fedeli. Nella sua veste bianca, si affaccia alla finestra su Piazza San Pietro per benedire i fedeli. È il cardinale gesuita Jorge Mario Bergoglio, da oggi Francesco. È il primo Papa dell’America Latina, il continente dove il cattolicesimo vanta centinaia di milioni di fedeli, ma solo 19 cardinali elettori entrati in Conclave. È il primo Papa gesuita della storia, l’unico cardinale gesuita del Conclave dopo che l’arcivescovo emerito di Giakarta, il gesuita Julius Riyadi Darmaatmadja, ha rinunciato per motivi di salute. Forse, però, sarà l’ultimo Papa della Chiesa.
Il PRIMO PAPA GESUITA DELLA STORIA
Bergoglio salì agli onori della cronaca per essere stato il contendente di Joseph Ratzinger al Conclave del 2005. Ora, smentendo alcune ricostruzioni che lo volevano – almeno allora - restio a diventare Papa, prende il suo testimone. Perchè il successore di Benedetto XVI è paradossalmente il suo antagonista, colui che, secondo voci che si erano diffuse insistentemente otto anni fa, sarebbe stato allora preferito al porporato tedesco, forse addirittura sarebbe stato eletto ma avrebbe declinato, facendo convergere i voti proprio su Ratzinger. Bergoglio era infatti riuscito a raccogliere l’appoggio dei conservatori e al contempo quello dei moderati grazie alla sua grande esperienza nei Paesi del Terzo Mondo e alla sua fama di uomo “semplice” e di riconosciuta “umiltà”. Eppure, come vedremo tra poco, allora pesò su Bergoglio lo scandalo dell’inchiesta del giornalista Horacio Verbisky che lo accusava di collusione con la dittatura argentina e del coinvolgimento nel rapimento di due gesuiti. Un’accusa che, nonostante lo sdegno e la smentita dello stesso cardinale, difficilmente poteva passare inosservata e che probabilmente pesò sul risultato del Conclave. Oggi Bergoglio ha 77 anni e i cardinali lo hanno dunque preferito ad un Papa giovane, pensando soprattutto ad un uomo di Chiesa navigato, stimato da conservatori e progressisti, apparentemente limpido, che non ha mai fatto segreto dei rischi del carrierismo all’interno della Curia romana («I cardinali non sono gli agenti di una ONG, ma sono servitori del Signore»), condannando aspramente anche l’imperialismo e gli eccessi del capitalismo.
Oggi i vaticanisti lo dipingono come determinato a riformare la Curia romana. Ma in che senso? Riformerà o traghetterà la Chiesa verso la sua decadenza? Così si esprimeva Bergoglio in un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli per il sito «Vatican Insider» in merito al ruolo dell’evangelizzazione della Chiesa: «Si deve uscire da se stessi, andare verso la periferia. Si deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale: quando lo diventa la Chiesa si ammala. È vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima 11».
È il primo Papa gesuita, proprio come gesuita è il portavoce vaticano Federico Lombardi che, con una punta di commozione in un briefing serale successivo all’elezione papale, ha però voluto sottolineare soprattutto il continente d’origine e la scelta del nome di “Padre Bergoglio”: Francesco, come il santo patrono di quell’Italia da cui la famiglia Bergoglio proviene. È fedelissimo di sant´Ignazio: divenne Provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina proprio quando infuriava la dittatura. Deposto da Provinciale, Bergoglio tornò nell’ombra per poi essere nominato vescovo ausiliare dall’arcivescovo Antonio Quarracino nel 1992. E da allora è iniziata la sua ascesa. Già nell’autunno del 2001 qualcuno, in Vaticano, pensò di chiamarlo a dirigere un importante dicastero. «Per carità, in curia muoio», avrebbe implorato Bergoglio, poco restio a esporsi in pubblico e a viaggiare. Allora lo “graziarono”. Questa volta è andata diversamente.
BIOGRAFIA
Bergoglio nasce a Buenos Aires il 17 dicembre 1936 da genitori italiani immigrati da vicino Torino. Intraprende un curioso percorso di studi, diplomandosi come tecnico chimico, per poi scegliere il sacerdozio ed entrare nel seminario di Villa Devoto. L’11 marzo 1958 passa a al noviziato della Compagnia di Gesù, compie studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, consegue la laurea in filosofia presso la Facoltà di Filosofia del Collegio Massimo “San José” di San Miguel.Fra il 1964 e il 1965 è professore di letteratura e di psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fe e nel 1966 insegna le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires. Il 13 dicembre 1969 è ordinato sacerdote. È maestro di novizi a Villa Barilari, San Miguel (1972-1973), professore presso la Facoltà di Teologia, Consultore della Provincia e Rettore del Collegio Massimo. Il 31 luglio 1973 è eletto Provinciale dell’Argentina, incarico che ha esercitato per sei anni. Fra il 1980 e il 1986 è rettore del Collegio Massimo e delle Facoltà di Filosofia e Teologia della stessa Casa e parroco della parrocchia del Patriarca San José, nella Diocesi di San Miguel. Il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo nomina Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno dello stesso anno riceve nella cattedrale di Buenos Aires l’ordinazione episcopale dalle mani del Cardinale Antonio Quarracino, del Nunzio Apostolico Monsignor Ubaldo Calabresi e del Vescovo di Mercedes-Luján, Monsignor Emilio Ogñénovich. Il 3 giugno 1997 è nominato Arcivescovo Coadiutore di Buenos Aires e il 28 febbraio 1998 Arcivescovo di Buenos Aires per successione, alla morte del Cardinale Quarracino. Dal novembre 2005 al novembre 2011 è Presidente della Conferenza Episcopale Argentina. Dal B. Giovanni Paolo II fu creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001.
L’ISOLA DEL SILENZIO
Con Francesco cambia il paradigma dell’elezione del vescovo di Roma e il primo a testimoniarlo è lo stesso Bergoglio che dalla loggia della Basilica, la sera della sua elezione, ha ironizzato sulla sua nomina davanti alla folla acclamante: «... mi hanno preso alla fine del mondo».
In realtà quella “fine del mondo” a cui fa riferimento appare oggi molto vicina e sembra ereditare il pensiero dell’alfiere del “progressismo cattolico”, il Cardinale Carlo Maria Martini. Costui, anch’egli gesuita e massone, si era posto, fino alla sua morte nell’agosto del 2012, come antagonista del tradizionalismo portato avanti da Ratzinger, evocando invece un’apertura della Chiesa, mostrando di abbracciare persino la dottrina della Teologia della Liberazione, così invisa a Benedetto XVI e a gran parte della Curia. Ma dove finisce il “dialogo” e inizia lo svuotamento dottrinale del Cattolicesimo con l’apertura a temi prettamente “moderni”, liberali e incompatibili con la dottrina cattolica?
Il cardinale filo-israeliano Martini, oltre che gesuita sarebbe stato anche iniziato alla massoneria, almeno secondo il Gran Maestro dell’Oriente Democratico Gioele Magaldi. Alla sua morte, infatti, il sito del GOI gli
dedicò un “toccante” saluto che termina come segue:
«Carlo Maria Martini volle essere iniziato Libero Muratore.
Ma di questo fatto – e delle modalità in cui poté verificarsi – si troverà
probabilmente una qualche traccia illustrativa nel libro del Fratello
Gioele Magaldi, MASSONI. Società a responsabilità illimitata,
Chiarelettere Editore, in uscita per novembre 2012.
Per quanto ci riguarda, invece, con grande semplicità e commozione, con
immenso affetto e infinita stima, vogliamo salutare il Fratello Carlo
Maria Martini nel suo viaggio verso l’ORIENTE ETERNO.
I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO
[ Articolo del 12-14 settembre 2012 ]12»
Nell’Omelia del pontificato il neo eletto Papa ha promesso di traghettare la comunità dei fedeli lungo «un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi», chiedendo alla folla raccolta in Piazza San Pietro di pregare per chiedere la benedizione di Dio su di lui:
«Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il
mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo
cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio
cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di
questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima
- prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi
chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica: la preghiera del
popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio
questa preghiera di voi su di me».
Eppure, al di là dell’immagine sobria e “limpida” con cui ha salutato i fedeli, sul Vescovo di Roma non pesano solo le ombre del progressismo: egli era stato accusato nel 2005 di collusione con la dittatura argentina nello sterminio di novemila persone. Un’accusa sconcertante lanciata dal giornalista argentino Horacio Verbitsky, che da anni studia e indaga sul periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi attraverso ricerche serie e attente. Le prove del ruolo giocato da Bergoglio, a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittaturaargentina13, edito nel 2005 ma pubblicato in Italia nel marzo 2006, un anno dopo quel Conclave che preferì per pochi voti Ratzinger allo stesso Bergoglio.Stando all’inchiesta di Verbitsky, nei primi anni Settanta, all’età di 36 anni, Bergoglio divenne il più giovane Superiore Provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Entrando a capo della Congregazione, ereditò molta influenza e molto potere, dato che in quel periodo l’istituzione religiosa ricopriva un ruolo determinante in tutte le comunità ecclesiastiche di base, attive nelle baraccopoli di Buenos Aires. Tutti i sacerdoti gesuiti che operavano nell’area erano sotto le sue dipendenze. Fu così che nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics: ma essi si rifiutarono. Non se la sentirono di abbandonare tutta quella gente povera che faceva affidamento su di loro. Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati. Innanzitutto li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni sull’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti. Secondo quanto sostenuto dai due sacerdoti, quella revoca fu il segnale per i militari, un via libera ad agire: la protezione della Chiesa era ormai venuta meno. Tesi, questa, che sarebbe confermata da diversi documenti ritrovati dallo stesso Verbitsky e che accrediterebbe la colpa su Bergoglio, accusato di aver segnalato i due padri alla dittatura come sovversivi. Con l’accezione “sovversivo”, nell’Argentina di quegli anni, venivano infatti qualificate persone di ogni ordine e grado: dai professori universitari simpatizzanti del peronismo a chi cantava canzoni di protesta, dalle donne che osavano indossarele minigonne a chi viaggiava armato fino ai denti, fino ad arrivare a chi era impegnato nel sociale ed educava la gente umile a prendere coscienza di diritti e libertà. Dopo sei mesi di sevizie nella famigerata Scuola di meccanica della marina (Esma), i due religiosi furono rilasciati, grazie alle pressioni del Vaticano.
Tra i documenti raccolti da Verbitsky, su tutti troviamo quello reperito dagli archivi del ministero degli Esteri in cui si fa riferimento a un episodio specifico: nel 1979 padre Francisco Jalics si era rifugiato in Germania, da dove chiese il rinnovo del passaporto per evitare di rimetter piede in Argentina dopo quell’episodio. Bergoglio si offrì di fare da intermediario, fingendo di perorare la causa del padre: invece l’istanza fu respinta. Nella nota apposta sulla documentazione dal direttore dell’Ufficio del culto cattolico, allora organismo del ministero degli Esteri, c’è scritto: «Questo prete è un sovversivo». Un altro documento evidenzierebbe ancora più chiaramente il ruolo di Bergoglio: «Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia Argentina non ha fatto pulizia al suo interno. I gesuiti furbi per qualche tempo sono rimasti in disparte, ma adesso con gran sostegno dall’esterno di certi vescovi terzomondisti hanno cominciato una nuova fase». Si tratta del documento classificato Direzione del culto, raccoglitore 9, schedario B2B, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9.
Quanto segue è l’epilogo dell’Isola del silenzio, scritto dallo stesso Verbitsky un anno dopo l’elezione di Benedetto XVI, quando sembrava che l’ombra “nera” di Bergoglio non potesse più allungarsi al Trono petrino:
«La prima edizione di questo libro [L’isola del silenzio], alla quale ho lavorato per oltre quindici anni, è andata in stampa a Buenos Aires nel febbraio del 2005, quando a Roma era ricoverato in ospedale papa Giovanni Paolo II, che poi morì il 2 aprile. Secondo i quotidiani Italiani, il cardinale argentino Jorge Bergoglio fu l’unico serio avversario del tedesco Joseph Ratzinger, che venne eletto il 19 aprile e assunse il nome di Benedetto XVI. In quegli stessi giorni, il vescovo castrense di Buenos Aires disse che il ministro argentino della salute meritava di essere gettato in mare con una pietra da mulino al collo per aver distribuito preservativi ed essersi espresso a favore della depenalizzazione dell’aborto.(...) Quando il vescovo Baseotto appese la biblica pietra da mulino al collo ministeriale, il presidente Néstor Kirchner invitò il Vaticano a designare un nuovo titolare della diocesi militare. Quando il Nunzio apostolico comunicò che non ve n’era motivo, il governo revocò l’assenso prestato alla nomina di Baseotto e lo privò del suo emolumento da segretario di Stato per aver rivendicato i metodi della dittatura. Il Vaticano disconosce sia «l’interpretazione che si è voluto dare alla citazione evangelica» sia l’autorità presidenziale di revocare la designazione del vescovo castrense.Di motivi per dubitare che Baseotto abbia scelto ingenuamente una citazione biblica riguardante persone gettate in mare, ve ne sono in abbondanza. Il suo primo atto da Vicario fu la visita alla Corte suprema di Giustizia nella quale sostenne la necessità di chiudere i processi relativi alla guerra sporca dei militari contro la società argentina. Il suo segretario generale nell’Episcopato castrense (lo stesso incarico che nel 1976 rivestiva Emilio Grasselli) è il sacerdote Alberto Angel Zanchetta, che fu cappellano della Esma negli anni della dittatura e del quale è comprovata la conoscenza dettagliata di quanto vi accadeva. (...) Dopo aver acceso la polemica pubblica con le sue parole, Baseotto si riferì ai voli come a uno dei «fatti avvenuti, a quanto si dice, durante la famosa dittatura militare». Nessun membro dell’Episcopato ebbe da eccepire su quella frase provocatoria, perché tutta la Chiesa argentina continua a trincerarsi nell’isola del suo silenzio. Bergoglio rispose al libro attraverso il suo portavoce ufficiale, padre Guillermo Marco. Disse che aveva salvato la vita dei sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics e che qualsiasi affermazione in senso contrario costituiva un’infamia. (...) Per screditare la mia inchiesta disse che Yorio non poteva confutare quanto sostenuto nel libro perché era morto, che la mia fonte relativa a Jalics era anonima e che esisteva una foto di un incontro amichevole del sacerdote ungherese con Bergoglio durante una visita di Jalics a Buenos Aires. (...) Né Bergoglio né i suoi intimi hanno detto una parola sulla prova inconfutabile della doppiezza di cui lo accusano Yorio e Jalics. Yorio era ancora vivo quando pubblicai la prima intervista in cui accusa Bergoglio, nel 1999. Lungi dallo smentirmi, mi inviò poche righe intitolate «Grazie» e ci mantenemmo in contatto fino alla sua morte. (...) Figlio di un proprietario terriero e ufficiale dell’esercito ungherese, Jalics sostiene in Ejercicios de Contemplacion che il padre morì avvelenato nella sede della polizia politica comunista, ma che la madre gli insegnò a non odiare, sicché «imparai cosa significa la riconciliazione». Nel raccontare il suo sequestro dice: «Molta gente che aveva convinzioni politiche di estrema destra non vedeva di buon occhio la nostra presenza nelle baraccopoli. Interpretavano il fatto che noi vivevamo lì come un appoggio alla guerriglia e si proposero di denunciarci come terroristi. Noi conoscevamo la provenienza e il responsabile di quelle calunnie. Sicché andai a parlare con la persona in questione e gli spiegai che stava giocando con le nostre vite. L’uomo mi promise che avrebbe fatto sapere ai militari che non eravamo terroristi. Da dichiarazioni rese successivamente da un ufficiale e da trenta documenti ai quali riuscii ad accedere in seguito, potemmo appurare senza ombra di dubbio che quell’uomo non aveva mantenuto la sua promessa e che, al contrario, aveva presentato una falsa denuncia ai militari». Durante i cinque mesi del sequestro, la sua ira era diretta più che ai suoi carcerieri «all’uomo che aveva fatto la falsa denuncia contro di noi».Quell’uomo è Bergoglio. La sua identità è svelata in una lettera che Yorio scrisse da Roma il 24 novembre 1977 all’assistente generale della Compagnia di Gesù, padre Moura. I fratelli e i nipoti di Yorio me ne diedero copia in segno di gratitudine per la pubblicazione del libro.
«Dato il proseguire delle voci su una mia partecipazione alla guerriglia, padre Jalics ha nuovamente affrontato la questione con padre Bergoglio. Padre Bergoglio ha riconosciuto la gravità del fatto e si è impegnato a mettere un freno alle voci nella Compagnia e ad affrettarsi a parlare con persone delle Forze Armate per testimoniare la nostra innocenza», dice. Ma siccome «il Provinciale non faceva nulla per difenderci, abbiamo cominciato a dubitare della sua onestà». (...) Nel nostro scambio epistolare, Yorio mi fornì una descrizione della doppiezza del suo ex Provinciale che coincide con quella che emerge dai documenti che anni più tardi scoprii nell’archivio del ministero degli Esteri argentino. Nel clima di paura e delazione instaurato all’interno della Chiesa e della società, i sacerdoti che lavoravano con i poveri «erano demonizzati, guardati con sospetto all’interno delle nostre stesse istituzioni e accusati di sovvertire l’ordine sociale». In quel contesto, «potevano concederci in segreto l’autorizzazione a celebrar messa in privato, ma non ci liberavano dalla proibizione e dall’infamia pubblica di non poter esercitare il sacerdozio, dando così alle forze della repressione il pretesto per farci sparire». (...) Riacquistata la libertà, Jalics viaggiò negli Stati Uniti e poi in Germania. Nonostante la distanza, «menzogne, calunnie e azioni ingiuste non cessavano». (...) Molte persone legate alla Chiesa e alla Compagnia di Gesù mi fecero avere dati aggiuntivi e confermativi. Uno di loro è il sacerdote irlandese Patrick Rice, che nel 1976 era il superiore della comunità dei piccoli frati del Vangelo in Argentina. Sequestrato sul finire di quell’anno a Buenos Aires, lo incappucciarono e lo interrogarono senza tregua, gli bruciarono il viso e le mani con sigarette e gli fecero ingerire acqua a pressione fino al limite della sua resistenza. Altri sacerdoti della sua confraternita sono ancora desaparecidos ma Rice riuscì a scappare con l’aiuto del governo irlandese e viaggiò in tutto il mondo per denunciare la situazione argentina. Nel 1979 venne a sapere che Massera, ormai dimessosi dalla Marina e impegnato nella sua attività politica, avrebbe partecipato a un seminario organizzato presso l’Università di Georgetown, a Washington, da due accademici che in seguito svolsero ruoli di primo piano nel futuro governo statunitense di Ronald Reagan: Jeane Kirckpatrick e Eliot Abramas. Mentre Massera teneva la sua lectio magistralis, Rice e un sacerdote nordamericano lo interruppero con domande sulla repressione di vescovi, suore, sacerdoti e laici cristiani. Massera non poté continuare e lasciò l’aula furibondo. Anche l’Università di Georgetown appartiene ai gesuiti. Patrick Rice sostiene che «tenuto conto della struttura della Chiesa, è impensabile che quell’invito potesse essere partito senza l’iniziativa o almeno l’assenso del Provincialato argentino della Compagnia di Gesù». Come il giorno dell’omaggio a Massera nell’Università del Salvatore, anche in quel caso, il Provinciale gesuita era l’allora sacerdote Jorge Mario Bergoglio14»
11 http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglioarticolo/articolo/america-latina-latin-america-america-latina-12945/20
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