domenica 7 luglio 2013

Un vestito per spogliarmi




Intorno a me vedevo tante cose che non andavano per niente bene: il mio territorio mortificato dalle velenose contraddizioni di amministrazioni vanitose, la mia gente sfiancata da problemi diventati invisibili a causa di un persistente disinteresse, istituzioni più simili a organizzazioni massoniche che a enti per la tutela del cittadino, partiti espansi come brutti tumori sempre pronti a far marcire la speranza ed il progresso di un paese. 

In mezzo a tale marasma di disagio e sofferenza, l’unico mezzo in grado di dare ascolto a chi ne aveva bisogno era la tv. 

Sì, proprio così. Parlo di quella scatola onnipresente e onniveggente che dimora impertinente nelle nostre case.

Quella scatola che propone soluzioni e sforna oracoli per qualsiasi tipo di problema. Quella scatola che nonostante sia sempre illuminata da una violenta luce di democrazia, il più delle volte, non da alcuna possibilità ai comuni mortali di accedervi per esporre i propri problemi. Alcune trasmissioni pseudo paladine, le quali fingono di comportarsi come tutrici del bistrattato genere umano, spesso, non sono altro che una via di mezzo tra compromesso e marketing televisivo.

Da quest'amara e sofferta constatazione, è nata in me la voglia di diventare la voce di tutti coloro che per troppo tempo sono rimasti muti di fronte al sopruso subito e alla difficoltà di vivere una vita dignitosa per colpa di meccanismi logori e mal funzionanti. 
Come diceva qualcuno famoso quanto Gesù: Se la montagna non va da… 

Ci siamo capiti, meglio evitare citazioni bibliche o coraniche che siano. In questo discorso la religione tradizionale c’entra ben poco perché scalzata da nuovi Dei di un pantheon di plastica e tutto da scoprire.

Purtroppo, come spesso accade, le mie buone intenzioni non sono state accompagnate da risultati altrettanto soddisfacenti. Stupidamente o ingenuamente, agli inizi di questa difficile scalata, non mi sono reso conto di trovarmi nell’epoca del Dio Apparire (ecco che ritorna il discorso sulle neoreligioni contemporanee), al quale si è disposti a dare qualsiasi tributo. Devo ammettere, però, che i miei primi servizi hanno mosso qualcosa. Sono serviti, in quanto quelli delle Iene mi hanno subito notato. Sono stato nei loro studi, ho mangiato nella loro mensa, ho girato per i corridoi come una vera iena. Sapevano il mio nome e anche il mio cognome. Con indosso la loro divisa potevo aspirare a essere qualcuno nel mondo cannibale della tv.

Nella loro tana mediatica mi sono comportato davvero da iena senza che se ne accorgessero minimamente. Questo spiega molte cose. Mi sono fatto beffe della loro spocchiosa arguzia, fintamente interessata, usando le loro stesse armi. E questo non va bene neanche per le iene giustiziere.

In quegli studi, sono stato illuso e incoraggiato per poi ricevere una pacca sulla spalla farcita da tante scuse ignobili e false. Comunque, dopo quella vicenda ho capito che una persona normale, con un abbigliamento casual e un paio di occhiali (da vista) non ha accesso ai piani alti. Altro che piani alti. Non importa quello che dici ma i panni in cui lo dici. E da quell'esperienza ho capito, perchè mi è stato detto chiaramente, anche che senza un buon amico ben radicato su quei famigerati piani alti, non si va da nessuna parte. Triste ma vero. 

Non è tutto oro ciò che luccica. 

Tirando un pò le somme, in ogni modo, posso essere ben fiero di aver violato la casa della iena senza ricevere alcun invito diretto. In volo, tornando a casa, pensavo che loro sapevano chi ero senza che glielo dicessi. Avevo fatto la iena alle iene. Nella delusione, mentre nella mia mente riscorrevano le immagini di quella giornata, un sorriso beffardo animò le mie labbra serrate. Avevo capito che quello era l'atteggiamento giusto per ricominciare. Sempre più forte. Sempre più testardo e irriverente. 

Quel pensiero ha avuto la forza di una molla potentissima che mi ha dato la spinta giusta per procedere nella mia piccola missione. Così, come il Clark Kent dei fumetti, ho fatto mio quel vestito nero e quegli occhiali scuri, così… per vedere l’effetto che fa. Beh, l’effetto c’è stato, eccome!

Sotto quello strato di cotone che diventava una corazza quando mi districavo tra le difficoltà e i problemi della gente, ero sempre io ma cambiava la percezione che le persone avevano di me. Quel costume, preso in prestito dal mondo televisivo, mi dava l’autorevolezza giusta per trattare determinate questioni, mi forniva le chiavi d’accesso per entrare nelle case dei politici, per intervistare gente irraggiungibile e avvicinarmi al fuoco senza mai bruciarmi. Un microfono come spada, una telecamera per scudo e ho iniziato le mie battaglie. E non bisogna tralasciare il particolare che mi sono sempre mosso in un territorio difficile, molto più simile ad un campo minato. Il posto in cui vivo è subissato dal peso della SCU (credo che tutti conoscano il significato di questo acronimo che gronda ancora sangue e omertà e non mi dilungherò nella sua spiegazione), specie in questi ultimi tempi, nei quali si è inneggiato al buon nome del mio paese (Mesagne) contro le critiche e i pregiudizi mossi da un manipolo di giornalisti mercenari della notizia, il dibattito sulla questione mafiosa è tornato prepotentemente in auge. Posso confermare che, contrariamente a quanto dicono i cittadini e i politici benpensanti, la malavita c'è e si respira; io nei miei servizi e nelle mie inchieste l'ho sempre avvertita come una presenza reale, quasi materiale. Una presenza che si annida nelle menti dei miei compaesani obnubilando ogni loro pensiero in merito ad un'agognata Mesagne liberata dal fantasma dei tempi bui. Io ho sempre lottato anche in questo clima così opprimente. E i problemi non sono mancati di certo.

E, sempre lottando, sono giunte anche le prime sconfitte e i primi giudizi negativi da parte di coloro che si sono subito stancati del giocattolo. Esporsi pubblicamente significa anche tenere conto della labilità della gente, la quale è quasi mai disposta a concederti qualcosa in più di quel famoso quarto d’ora “Warholiano”. Chi mi ha acclamato la domenica, mi ha sotterrato di critiche il lunedì successivo. Chi mi ha sostenuto quando la mia presenza era benefica per la propria immagine, ha ritratto il proprio infame braccio non appena il vento delle mie critiche stava per sfiorare il suo esile castello di carte per farlo crollare.

Nel periodo in cui sono stato “Figlio di Iene” ho pianto per le pugnalate subite.

Ma ho anche riso e gioito quando un mio piccolo intervento ha alleviato il dolore di tanti padri separati che hanno potuto vedere un po’ di luce. La mia vicenda a favore di questi genitori, oltremodo vessati da un sistema legislativo poco funzionante, è anche stata scritta in un libro attualmente distribuito nei circuiti della Feltrinelli. 

Se non è un buon risultato questo... Però, devo ammettere che il maggiore obiettivo raggiunto con questa mia iniziativa è stato quello di dare un piccolo bagliore di speranza ai bambini. Sono loro, in realtà, le vere vittime del sistema. Sono loro a non avere alcuna scelta quando i genitori decidono di dividere le proprie strade. Essendo anch'io padre, sono stato davvero orgoglioso di vedere i sorrisi spontanei dei piccoli figli di tutti i padri che hanno chiesto il mio aiuto. Il sorriso di un pargoletto vale più di ogni altra cosa. Più di un microfono, più di una comparsata, più di tutto. Non è il figlio di iene che parla ma il padre che c'è in me. Ve lo posso assicurare.

Ritornando alla mia vicenda. 
Mi hanno additato dicendomi quello che non sono. Chi lo ha fatto, però, non si è mai reso conto che, così facendo, mi ha dato una consistenza. Mi ha dato vita. Non sarò quello che qualcuno vuole che io sia, ma Sono. Sono e Sarò. 

Sui difetti, sulle difficoltà, sui modi da imparare, sulla dizione poco confacente agli standard, se ne può discutere ma l’importante è essere qualcosa. Essere qualcuno. Quel giorno nel microcosmo di Mediaset mi hanno detto che non ero una iena? Nessun problema. Sono diventato qualcosa di diverso.

Per i dettami tecnici spero di avere l’opportunità di imparare e migliorare. Non ho mai avuto paura dei miglioramenti e sono sempre stato conscio del fatto che, giorno dopo giorno, c’è da imparare. L’ho fatto. Lo farò.

Anche senza la pesantezza di quel vestito nero, così luminoso agli occhi della gente drogata di visibilità, ho sempre cercato, e continuerò a farlo, di avere una personalità e una bocca irriverente, antipatica, fastidiosa ma pur sempre una bocca parlante; una bocca critica con una lingua tagliente anche quando gli argomenti non sono così grevi. Anche quando si dibatte su gossip e argomentazioni un po’ più leggere. Anzi, nei miei servizi un pò più glamour non ho mai smesso di evidenziare i lati oscuri del mondo delle starlette e dei tronisti. Ho sbeffeggiato il gossip e tutti i suoi parassiti. Ho mostrato la vera faccia dello star system presentandola tra le immagini dei servizi che potevano sembrare un pò più leggeri. Ho fatto vedere cosa vive dietro la patina dorata che nasconde la società in cui viviamo. Una realtà nella quale un giovane farebbe di Tutto pur di entrare nella casa del Grande Fratello. E quando dico di Tutto, voglio dire Tutto nel vero senso della parola. 

Continuando a portare avanti il mio modus operandi, vorrei smettere di vivere all’ombra di un’immagine precostituita e vivere di una mia luce propria. Lasciare la giacca nell’armadio tra la naftalina e i bei ricordi di ciò che sono stato in grado di costruire, magari ringraziandola per l’aiuto che essa mi ha dato.

Vestirmi con l’abito nero mi ha, appunto, permesso di spogliarmi di un anonimato frenante e di una normalità che non mi permetteva di muovermi come se fossi stato legato da migliaia di catene invisibili.

Ora vorrei continuare a fare inchiesta, respirare il malcontento della gente, piangere con chi soffre, ma lo vorrei fare nella mia pelle. 

Non sarebbe male iniziare a lavorare nei miei stessi panni. Perché Alessandro dovrebbe avere da dire cose meno interessanti di Super Alessandro o Mr. Boh e via di scorrendo? E’ inutile girarci intorno. La gente ha bisogno di un personaggio in cui identificarsi, in cui trasmettere le proprie speranze e le proprie paure. Ahimè, devo ammetterlo.
Di esempi ne abbiamo tanti. Non starò qui a elencarli. 

Personaggio o no io continuerò ad aggirarmi nel vortice oceanico delle problematiche del mio 
paese, con l’occhio elettronico della mia telecamera poco costosa immortalare le facce felici e sorridenti; con il mio microfono registrare i lamenti, le gioie delle persone che incontrerò nel mio viaggio in questo limbo chiamato Italia.

Personaggio o no andrò sempre alla ricerca della verità anche quando questa verrà nascosta per bene da strati di finto perbenismo e bigottismo cronico; anche quando questa sarà nascosta dai poteri forti, quelli che minacciano senza pudore te e la tua famiglia, perché la verità può essere anche un’offesa ma non sarà mai una bugia.

Ora il capitolo del “Figlio di Iene”, storia di un figlio illegittimo si chiude qui. 
Abbandonerò i migliaia di click ottenuti su YOUtube grazie al mio (o al loro) personaggio; i miei occhi non saranno più protetti dalle lenti degli occhiali scuri, le Iene le guarderò (forse) solo in tv, ma sarò sempre io. Alessandro figlio più che legittimo della passione e della voglia di essere uno dei cardini della società in cui vive. 
Non sarò più figlio illegittimo di una madre che mi ha rifiutato per motivazioni... discutibili.
La mia storia passata e presente finisce qui.
Ora sono costretto a smettere di scrivere queste parole che puzzano un po’ di passato e vecchio. 
E’ tempo di iniziare una nuova storia mentre l’odore di naftalina mi accarezza le narici.
C’era una volta un uomo normale che lottava e piangeva per…
Sarà il tempo a decretare per cosa!

FINE

Alessandro Carluccio






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