La banca centrale cinese al 2% di Fiat-Chrysler, Telecom, Prysmian
La notizia nelle comunicazioni rilevanti della Consob. Partecipazione analoga in Eni ed Enel. Gli investimenti nell’industria, mentre Black Rock privilegia le banche
A conti fatti si tratta di un investimento complessivo di circa 670 milioni di euro considerando la valorizzazione borsistica delle società coinvolte. Un’inezia rispetto 2,1 miliardi messi sul piatto ai primi di marzo quando People’s Bank of China, la Banca centrale cinese, rilevò il 2,1% dell’Eni e il 2,071% dell’Enel. A quelle partecipazioni nei colossi dell’energia controllati da Cassa Depositi e Tesoro ora si aggiungono quote rilevanti (secondo la definizione Consob) di Telecom Italia (2,081%), Prysmian, la ex Pirelli Cavi (2,018%) e Fiat-Chrysler (2,001%), soglia peraltro già comunicata (e commentata anche dal presidente John Elkann) nell’ultima assemblea dei soci al Lingotto.
Allargando il raggio ad altri recenti investimenti cinesi
- al netto della pletora di partecipazioni di controllo in piccole-medie aziende italiane appetibili per la riconoscibilità del marchio e le loro competenze tecniche - potremmo aggiungere anche quei 2 miliardi appena sborsati per il 35% di Cdp Reti (che possiede quote strategiche di Terna e Snam) da parte del colosso energetico pubblico State Grid. Oppure ancora l’assegno da 400 milioni riconosciuto da Shanghai Electric per il 40% di Ansaldo Energia controllato da Cassa Depositi e Prestiti attraverso Fondo Strategico Italiano. Dice Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, l’Associazione italiana del private equity, che il rinnovato (e deciso) interesse da parte della Banca centrale cinese per la nostra industria non deve suscitare né allarme né particolari impeti di gioia: «Si tratta di un’oculata strategia finanziaria di diversificazione del portafoglio che non suggerisce ancora ipotesi avveniristiche come eventuali scalate per il controllo societario e Opa ostili».
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DOPO TELECOM ITALIA, FIAT CHRYSLER, ENEL, ENI E PRYSMIAN
La Banca Centrale cinese ha il 2% di Generali
Investimento di circa 460 milioni di euro
Stavolta la partecipazione - ai valori correnti di Borsa - si attesta intorno ai 460 milioni di euro, pari al 2,014% di Generali, l’ultima tra le blue chip di Piazza Affari ad avere tra gli azionisti rilevanti People’s Bank of China, la banca centrale cinese. Ciò che cambia semmai è che per la prima volta Pechino sceglie di investire in una vera e propria istituzione finanziaria, un tempo definita la «cassaforte del Paese», dopo le quote appena rilevate in Eni, Enel, Fiat-Chrysler, Telecom Italia e Prysmian. Complessivamente la banca del Popolo ha messo sul piatto oltre 3,1 miliardi su Piazza Affari.
Non tutti insieme, ovvio. Piuttosto piccoli ordini di acquisto nel tempo per mimetizzarsi ed evitare che il titolo lievitasse troppo, ora però la strategia cambia: la Cina ha deciso di venire allo scoperto a due mesi di distanza dal prossimo viaggio in Italia del premier Li Keqiang, previsto per metà ottobre. Non può più sfuggire il dato politico che si sovrappone a quello strettamente finanziario che vede le nostre società quotate ancora a prezzi di saldo (Generali nel 2007 capitalizzava 42 miliardi, ora 23,5), pertanto un’ottima occasione di investimento su un colosso assicurativo che - sotto la gestione di Mario Greco - ha appena archiviato i conti del primo semestre 2014 con profitti per oltre un miliardo di euro e un utile operativo in crescita del 9,3%.
Non sorprende quindi la volontà della banca centrale cinese di scommettere proprio su Generali, protagonista - come Mediobanca, suo principale azionista - di un vero e proprio cambiamento nella governance, ora molto più snella anche per il tramonto (recente) dei patti di sindacato e un minor peso delle fondazioni bancarie (non è un caso che nell’ultima assemblea dei soci a Trieste i fondi esteri erano complessivamente il primo azionista con il 15,8% del capitale).
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nella classifica degli uomini più ricchi d'italia all’ottavo posto c'è Zhou Xiaochuan governatore della banca centrale cinese la People’s Bank of China per un controvalore di 3,116 miliardi euro. È la prima volta che una società cinese entra a far parte della speciale graduatoria, e lo fa grazie alle quote detenute in aziende quali Enel, Eni, Fiat, Generali Ass.ni, Prysmian e Telecom Italia
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