Greenpeace sul biodiesel: l'utilizzo di materia prima d'importazione rischia di incentivare i danni ambientali e l'aumento dei gas serra. "Ma l'obiettivo del 10% è giusto", dice l'associazione ambientalista. "Ma bisogna puntare sulle coltivazioni locali"
di ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - “Metti una tigre, in estinzione, nel motore”. Lo slogan, contenuto nell’ultimo rapporto di Greenpeace, fotografa un paradosso ambientale. Una buona azione ecologica – la normativa europea che obbliga ad usare almeno il 10 per cento di biocarburanti – rischia di trasformarsi in un boomerang che incentiva la deforestazione, accelerando la perdita di biodiversità e il caos climatico. Come? Grazie a un trucco naturalmente.
La prima trappola possibile è stata evitata dall’Unione europea. Temendo che per ottenere le piante da cui estrarre i biocarburanti si aggravasse la pressione che restringe il manto verde del pianeta, Bruxelles ha vietato di utilizzare biocarburanti che provengano dal cambio diretto di destinazione dell’uso dei suoli: togliere foresta pluviale per far spazio a soia, colza e palma da olio da trasformare in carburanti è un danno ambientale che evidentemente non può essere incentivato.
Ma, fatta la legge, è stato trovato il raggiro: si chiama cambio indiretto di destinazione. E’ il gioco delle tre carte. Si prende un terreno coltivato a fini alimentari e lo si destina a colture energetiche. A questo punto, ovviamente, manca il suolo in cui seminare le piante necessarie a fornire il cibo. Dove trovarlo? Erodendo la quota di foresta ancora intatta. Si ritorna così al paradosso del danno ecologico incentivato.
Per bloccare questo sistema, il rapporto di Greenpeace (“La benzina verde minaccia clima e foreste”) ha fatto un’analisi della situazione attuale proponendo un’alternativa: “Gli italiani che vanno in vacanza usando la macchina fanno il pieno di cambiamenti climatici, deforestazione ed estinzione di specie", ricorda Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace. “Abbiamo analizzato i combustibili utilizzati nei paesi europei e abbiamo scoperto che in Italia c’è il record di consumo di olio di palma, una delle colture a più alto impatto ambientale: nel nostro paese il biodiesel viene prodotto prevalentemente con materia prima d’importazione
”.
La produzione di biodiesel in Italia è notevolmente aumentata negli ultimi 6 anni: ci sono 12 impianti che hanno una capacità produttiva potenziale pari a 2,4 milioni di tonnellate. Oggi l’Europa si attesta attorno al 6-7 per cento di consumo di biodiesel ma, per ridurre l’uso di combustibili fossili, il target è il 10 per cento entro il 2020.
“L’obiettivo è giusto, i mezzi sbagliati - continua Chiara Campione - serve una legge che renda obbligatorio il calcolo delle emissioni serra prodotte dal ciclo completo di lavorazione dei biocarburanti. Bisogna incentivare il biodiesel a basso impatto ambientale: dunque coltivazioni locali, che non richiedono l’uso di pesticidi e crescono con poca acqua. Solo a queste condizioni si può veramente parlare di biodiesel".
http://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/ambiente/2011/07/19/news/cos_cresce_la_deforestazione_il_paradosso_dei_biocarburanti-19304554/
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