nota del blog: oltre che bilderberg la signora Maggioni non si fa mancare anche la commissione trilaterale http://www.trilateral.org/download/file/eu_list_3-14.pdf
autore: Luciano Scateni
Totonomi sbugiardato e c’era da aspettarselo: con una rapida, estemporanea riedizione del Nazareno, Pd e Forza Italia hanno buttato a mare le candidature ipotizzate in questi giorni e hanno realizzato la convergenza compromissoria sul direttore di RaiNews24. L’assemblea ha così partorito la designazione di Monica Maggioni alla presidenza della Rai. La nomina, che dovrà essere confermata dalla Commissione di Vigilanza, è certamente gradita a Berlusconi e prelude al via libera a Dell’Orto, uomo di Renzi, non sgradito a Forza Italia, per la direzione dell’azienda, ma con un passato non proprio esaltante: fu bocciato da Bernabè, subentrato a La7 quando la Tv era in default finanziario, anche per l’aggravante di un contratto miliardario concesso a Fabio Fazio, che mise in tasca la somma record senza partecipare neppure a una puntata del programma per il quale ha ricevuto il lauto compenso.
Giornalista dal 1995, Monica Maggioni ha lavorato per molti anni al Tg1 e dal 2013 dirige Rai News24 e Televideo. E’ anche membro della Commissione Trilaterale. Succede ad Anna Maria Tarantola. Inviata di guerra, è apparsa in un blindato Usa sul fronte iracheno, unica giornalista ammessa tra le fila dei militari americani per raccontare la guerra dal loro punto di vista. Un anno fa era tra i partecipanti alla riunione annuale del Gruppo Bilderberg e ha suscitato polemiche, soprattutto da parte di Roberto Fico di Cinquestelle, che ha presentato un’interrogazione alla Rai denunciando il caso come inopportuno perché condizionante la libertà critica della giornalista.
Carriera folgorante per il presidente designato, e all’insegna di un’attenta equidistanza da sinistra e destra che ha obiettivamente favorito l’intesa Renzi-Berlusconi.
Come dar torto ai grillini che denunciano un nuovo episodio di lottizzazione? Il loro torto semmai è di aver apostrofato Renzi con l’epiteto di “buffone”, secondo la peggiore tradizione dei pentastellati, incapaci di protestare senza usare insulti.
Resta il nodo della direzione generale a cui appunto si dice destinato Antonio Campo dell’Orto, fan di Renzi ed ex Mtv. Nome prestigioso (come verbalmente chiedono tutti i partiti) o solo uomo del presidente del consiglio, che lo iperstima e gli attribuisce qualità di innovatore, contando sulla non belligeranza di Berlusconi? Per il momento e con sorprendente velocità sono in sella sette consiglieri di amministrazione su nove. Il Pd deve fare i conti per l’ennesima volta con il sabotaggio delle minoranze, che hanno tirato fuori dal cappello a cilindro il nome di Ferruccio De Bortoli, e di fatto hanno ridotto il numero dei dem nel Cda, a vantaggio del centro destra. Gasparri gongola (ha messo ha segno un colpo doppio rispetto al potenziale di partenza) e la gestione del consiglio di amministrazione non sarà sicuramente agevole per il Pd.
Nonostante l’ingresso nel Cda di Carlo Freccero (“per far dispetto a Renzi lavorerò gratis”), proposto da Cinquestelle (e da Sel), Roberto Fico, pentastellato presidente della commissione di vigilanza Rai, si accoda alla prassi consolidata degli insulti al Pd, accusato di aver politicizzato le nomine e contraddetto le intenzioni di liberare la Rai dall’ingerenza dei partiti. Gli risponde Orfini, presidente dem, che sottolinea la qualità dei rappresentanti designati dal Pd (tutti rigorosamente dai gruppi parlamentari).
Da che parte sta la ragione? Vediamo. Guelfo Guelfi è un professionista della comunicazione, eminenza grigia delle campagne elettorali di Renzi. In tema di supporter elettorali ecco il nome di Paolo Messa, carico di titoli accademici e promoter di Fitto per le elezioni del 2000, poi capo ufficio stampa dell’Udc. Giancarlo Mazzucca, eletto con il Partito delle Libertà, ha ricoperto più ruoli di responsabilità nei quotidiani ed è stato competitore di Errani nel voto per la presidenza della regione Emilia Romagna. Rita Borioni, unica donna tra i sette, docente universitaria e consulente del consiglio di amministrazione di Holding Cinecittà, è vice responsabile per la Cultura e l’Informazione del Pd (segretaria di Orfini, ricordano da destra). Arturo Diaconale è fedelissimo di Berlusconi, giornalista in ruoli direttivi e conduttore televisivo, eletto senatore con il Popolo delle Libertà. Freccero ha lavorato in ruoli di responsabilità con Canale 5, Italia 1, Rete 4, è stato direttore di Rai2. Ha pagato con l’emarginazione, imposta da Berlusconi, l’intervista a Luttazzi di Travaglio. Rientra con la presidenza di Rai Sat e poi con la direzione di Rai4. Franco Siddi, giornalista sardo, si dedica al sindacato di settore ed è eletto presidente della Federazione Nazionale della Stampa, poi ne diventa segretario.
Lottizzazione? Di là dalle competenze nessun dubbio: le nomine, tranne l’incidente di percorso della minoranza Pd, sono un classico esempio di ricorso al famigerato manuale Cencelli, e vi hanno partecipato anche i Cinquestelle, che negano il fil rouge con Freccero. Sulle qualità del loro candidato poco da dire e niente da eccepire, anche sul metodo della designazione, che avrebbe bypassato la prassi della consultazione on line: non c’erano i tempi necessari, spiegano i pentastellati, che sostengono di non partecipare alla lottizzazione della Rai.
Ma cos’altro è la nomina di Freccero? E’ pur vero che la sua organicità non si identifica banalmente con il movimento di Grillo, ma non è neppure difficile definire affini a Cinquestelle i suoi modelli di contestazione del Pd, manifestati in numerose apparizioni televisive. E Freccero confessa di votare Cinquestelle a livello locale.
Per tre dei sette consiglieri d’amministrazione eletti nasce un problema e di non poco conto. Secondo il quotidiano l’Unità e la legge di settore, Freccero, Guelfi e probabilmente Mazzuca, in quanto pensionati, non possono assumere incarichi nelle società controllate dalla Stato. Per uscire dall’impasse ci sarebbe la strada dell’incarico non retribuito, ma possibile solo per un anno. Situazione paradossale: per dodici mesi parte del consiglio di amministrazione agirebbe a tempo determinato e in economia.
Alle spalle delle nomine, giorni di febbrili di trattative tra partiti per l’assetto dei nuovi vertici della Rai. Si è schierato anche Berlusconi, che ha preteso una rosa di nomi per la presidenza della televisione pubblica e ha lanciato l’amo di una furba considerazione, ricordando al Pd che quando Forza Italia era al governo indicò il nome di Paolo Garimberti (di centro sinistra) pur avendo la maggioranza. E’ stato accontentato con la nomina, gradita, della Maggioni.
Voci sussurrate, ma attendibili, indicano tra i papabili per la direzione generale il citato Campo Dell’Orto (renziano). Forza Italia, in contrapposizione ai nomi di Mansi, Anselmi, Sorgi, Fuortes (questi con con buone chance) e da ultimo di Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, propone per la presidenza Ostellino, Palombelli, Catricalà. A Renzi (che sarebbe favorevole a un presidente donna) non dispiace Antonella Mansi, già top manager del Monte dei Paschi di Siena, ma potrebbe essere anche questo un nome da bruciare. Modalità e sostanza delle nomine di sette consiglieri su nove denunciano la preoccupante continuità con un passato di spartizioni e sono lontane anni luce dall’urgenza di una riforma radicale.
E allora: la televisione pubblica molto probabilmente continuerà a inseguire in peggio le Tv commerciali, riempirà i suoi spazi generalisti di fatuità, telefilm scadenti, soap opere modello Grand Hotel, di telegiornali subordinati ai partiti di riferimento; uomini della programmazione e dell’informazione scaleranno i posti di potere senza merito, grazie alla tessera che intascano e alla militanza attiva, generosamente ricompensata nel Pd, in Forza Italia e compagnia bella; talenti, intelligenze e competenze senza padrini e padroni saranno come sempre emarginati; si farà ricorso senza freni agli appalti, che nascondono la sottostima di capacità interne e intrecci poco trasparenti con le società esterne; si perpetuerà la lottizzazione dell’informazione con gli sprechi di sei troupe o più (tre Tv, tre radio e altre per le rubriche di approfondimento) che gravano sul bilancio di settore con cifre impressionanti; rimarrà deficitaria la capacità produttiva (in quasi tutte le redazioni regionali sarebbe sufficiente la metà dei giornalisti per la quantità e la qualità della produzione realizzata); chi governa monopolizzerà gli spazi televisivi e radiofonici di tutte le reti e, per fare un esempio, nei monitor alle spalle dei conduttori del Tg1 comparirà ogni sera la faccia di Berlusconi, se Forza Italia ha la presidenza del consiglio, o quella di Renzi, come succede da quando è capo del Governo; eccetera, eccetera, eccetera.
http://www.lavocedellevoci.it/?p=2741
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