A chi è a digiuno di fisica e chimica, la «perovskite ibrida» potrebbe sembrare un minerale da supereroi, alla stregua della Kryptonite da cui si teneva alla larga Superman. In realtà il semiconduttore che ha la struttura di un minerale potrebbe cambiare il fotovoltaico del futuro, rendendolo più flessibile e a basso costo. E lasciando ai ricordi del passato i pannelli rigidi e scuri che cominciano ad affollare ormai i tetti delle città. È a questo che hanno lavorato, per circa tre anni, i ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia. Lo stesso che ha brevettato il grafene in forma di inchiostro e che ha dato vita al primo prototipo di mano artificiale «made in Italy». Il «Center for Nano Science and Technology» presso il Politecnico di Milano, che fa capo all’Iit, ha conseguito infatti il record di efficienza di conversione (18%) delle celle fotovoltaiche a base di «perovskiti ibride» stampabili a bassa temperatura. Grazie a una nuova tecnologia di produzione che permette la loro integrazione anche su tecnologie esistenti, tipo quella al silicio. Come spiega la ricerca che è stata pubblicata sulle riviste internazionali «Energy and Environmental Science» e «Nature Photonics».
A capo del progetto Annamaria Petrozza, trentacinquenne originaria di Matera, che dopo aver girato il mondo come ricercatrice (Cambridge, Oxford, Parigi), da cinque anni lavora in Italia dove ricopre il ruolo di «senior scientist» dell’Iit. Qui, insieme a un team di quindici persone, ha iniziato a studiare tre anni fa le potenzialità delle celle fotovoltaiche a base di «perovskiti ibride», un semiconduttore con la struttura di un minerale noto da tempo. Ma che il team di Petrozza ha studiato a fondo, allargandone le potenzialità. «Abbiamo sviluppato la ricerca su due binari - conferma Petrozza - approfondendo le potenzialità del materiale e cercando di ottimizzarle. Siamo passati così a dimostrare che da un’efficienza energetica del 10%, questi semiconduttori possono arrivare anche al 30% se integrati con il silicio, mentre i pannelli ora in uso arrivano a circa il 20%. Quindi alta efficienza a costo zero. Inoltre - aggiunge Petrozza - questi sistemi sono stampabili su substrati di diversa natura, anche flessibili. Allargherebbero quindi lo spettro di applicabilità del fotovoltaico, che in questo modo potrebbe portare l’energia anche nelle parti curve degli edifici, su tensostrutture, tende, vetri. E non solo sui tetti delle case».
Resta il problema del piombo contenuto nelle «perovskiti ibride», materiale nocivo. «Ma dal punto di vista chimico - aggiunge Petrozza - i nostri colleghi stanno già studiando come sostituirlo con altri metalli».
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