domenica 27 settembre 2015

Svalbard, dentro il bunker dell’Artico: «Dalla Siria il primo prelievo di semi»

Ad appena otto anni dalla sua inaugurazione, il megadeposito vicino al Polo Nord, pensato per stoccare semi di tutti i Paesi e proteggerli in caso di guerre nucleari, terremoti e attacchi terroristici, ha già ricevuto la sua prima richiesta di prelievo, direttamente da ricercatori siriani in fuga da Isis


Longyearbyen (Norvegia) - Un bunker nel ghiaccio. Intorno, il gelido nulla delle Svalbard, le terre abitate più a Nord del pianeta. Dentro, 400 milioni di semi: il backup della biodiversità del mondo, ben difeso da minacce di guerre nucleari, terremoti e attacchi terroristici.

Quando ha aperto, l’idea di un megadeposito per stoccare tutti i semi del mondo nell’Artico sembrava uscita direttamente da un film di fantascienza. E invece, a otto anni dall’inaugurazione, lo Svalbard Global Seed Vault ha già ricevuto la sua prima richiesta di prelievo, direttamente dalla Siria.

Siamo alle Svalbard, 78esimo parallelo, mille chilometri dal Polo Nord. Un mucchietto di isole che sui mappamondi spesso nemmeno si vede, seminascosto dal perno che fa girare il globo. Un territorio senz’alberi né insetti, dove il sole non tramonta da aprile e ad agosto e l’inverno è fatto di 155 giorni di buio totale. E dove le duemila persone che ci vivono vanno sempre in giro armate - lo prevede la legge - per difendersi dagli orsi polari.

Dello Svalbard Global Seed Vault si vede solo l’ingresso. Il resto è sottoterra. Un tunnel scavato per 130 metri all’interno di una montagna di arenaria e tre enormi grotte a 130 metri sopra il livello del mare, al riparo in caso di scioglimento dei ghiacciai. E al sicuro anche in caso di guasto all’impianto energetico che fa funzionare la struttura, visto che il permafrost che la circonda manterrebbe comunque la temperatura costante.

Quasi tutti i Paesi, uno dopo l’altro, hanno deciso di inviare qui una copia dei loro semi. Dalla Corea del Nord agli Stati Uniti, dalla Mongolia alla Germania. Gli ultimi ad arrivare, ma solo in ordine cronologico: le delegazioni di Perù e Costa Rica. Che, a fine agosto, sono atterrate nel piccolo aeroporto di Longyearbyen con un carico di 750 semi di patata.

Oggi i numeri del deposito norvegese fanno impressione: oltre 860 mila varietà di semi, 500 esemplari per ognuna, conservate a 18 gradi sotto zero. Una tomba di ghiaccio per le oltre 1.700 gene bank del mondo.

Pochi giorni fa il superbunker ha ricevuto la prima richiesta di prelievo. Arriva dal Centro internazionale per la Ricerca agricola in aree asciutte di Aleppo, in Siria (Icarda). Un punto di eccellenza operativo sin dagli Anni Settanta e uno dei più importanti in materia di sviluppo e sicurezza alimentare nelle zone aride della Terra. 

Dopo l’inizio della guerra che ha devastato il Paese, la struttura è stata occupata da gruppi armati. «Ma per fortuna nel corso degli anni, a cominciare dal 2009, eravamo riusciti a spedire una copia di tutti i nostri semi fuori dal Paese», spiega al telefono da Rabat Ahmed Amri, direttore delle Risorse genetiche del centro siriano. L’ultima spedizione alle Svalbard è arrivata l’anno scorso. E ora, tempo di preparare i pacchi, oltre 100 delle 325 scatole stoccate quassù - tra cui particolari varietà di frumento, orzo ed erbe adatte alle regioni aride - saranno inviate ai nuovi depositi che Icarda ha avviato in Marocco e in Libano. «Una volta fatte le nuove copie e riavviata la produzione, rispediremo i semi nell’Artico».


«Proteggere la biodiversità in questo modo è esattamente il nostro obiettivo», ha spiegato Brian Lainoff, portavoce del Fondo mondiale per la Diversità delle colture, che gestisce il deposito norvegese. Il passato insegna che i pericoli sono reali. Vale il caso della Banca nazionale delle Filippine: danneggiata dalle inondazioni nel 2008 e completamente distrutta da un incendio sei anni dopo. O quelle di Afghanistan e Iraq, cancellate nel corso degli ultimi conflitti.




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