giovedì 18 febbraio 2016

Apple non da all' FBI software x violare iPhone

Apple si oppone alla decisione del giudice federale Sheri Pym che ha ordinato a Cupertino di forzare il codice criptato dell’iPhone5 dell’attentatore di San Bernardino, Syed Farook, che lo scorso dicembre uccise quattordici persone. Come si legge in una lunga lettera pubblicata sul sito dell’azienda , e firmata dall’amministratore delegato Tim Cook, dare seguito alla richiesta creerebbe un «precedente pericoloso»

Il giudice ha ordinato ad Apple di collaborare con l’Fbi per accedere ai contenuti del telefonino dell’attentatore, un’azione da parte del Bureau federale che si è resa necessaria perché i contenuti dello smartphone di Syed Farook sono protetti da una password e il rischio è che tutti i dati vengano automaticamente distrutti dal software di protezione qualora sia attiva la funzione “auto-erase” in caso di dieci tentativi di forzatura del sistema.

 La posizione di Cupertino è stata netta. «La decisione di opporci a questo ordine non è qualcosa che non prendiamo alla leggera», scrive Cook. «Riteniamo però di dover far sentire la nostra voce di fronte a ciò che vediamo come un eccesso da parte del governo americano»

Mentre Apple nelle parole del ceo specifica di «non avere simpatie per i terroristi» e di essere «scioccati e arrabbiati» per la strage dello scorso dicembre, si riapre e arriva a uno snodo forse definitivo una questione che è aperta da anni. È dal 2013 che i media americani parlano della lunga lista d’attesa in mano a Cupertino delle richiesta da parte delle forze dell’ordine di entrare nei dispositivi di sospettati. D’altro canto, a seguito dello scandalo Nsa, Apple aveva annunciato come dalla versione 8 di iOS l’azienda avrebbe dotato i propri smartphone di un sistema di criptaggio che non può essere aggirato nemmeno dall’azienda. L’amministrazione Obama e l’Fbi si erano subito mossi contro quella che era stata definita una «mossa di marketing», ma senza risultati

E così si arriva al muro contro muro di oggi, con l’attenzione di tutto il pubblico mossa dal fatto che si parla di una strage in cui sono morte 14 persone all’interno di un centro per disabili. Ma la questione va oltre il singolo caso. «Ora il governo Usa ci ha chiesto qualcosa che semplicemente non abbiamo, e che consideriamo troppo pericoloso creare. Ci hanno chiesto una versione di iOS che renda possibile aggirare la sicurezza del telefono creando di fatto un accesso secondario all’iPhone», scrive Cook facendo riferimento a una via di ingresso ai dati dello smartphone che oltrepassi i blocchi di sicurezza impostati dall’utente. "Nelle mani sbagliate, questo software avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone fisicamente in possesso di qualcuno. E mentre il governo può sostenere che il suo uso sarebbe limitato a questo caso, non c’è modo di garantire tale controllo"

La richiesta del giudice - che di fatto è già una vittoria per il dipartimento di Giustizia nella “lotta” con la Silicon Valley su privacy e sicurezza nazionale - si basa sull’All Wrists Act, una legge del 1789 che di fatto fornisce ai magistrati un potere assoluto sulle ordinanze.

«Il governo non è stato in grado di accedere ai contenuti criptati ed Apple è l’unica ad avere le capacità tecniche per assisterlo alla ricerca, ma ha rifiutato di fornirla in modo volontario». Cook attacca proprio sull’atto vecchio di 227 anni: «Se il Governo può utilizzare la legge per rendere più facile sbloccare il tuo iPhone, allora ha il potere di entrare nel telefono di ognuno per catturarne i dati sensibili»

Il richiamo allo scandalo Nsa è chiaro, così come lo è il fatto che Apple sta combattendo una battaglia commerciale: cedere sul punto della sicurezza dell’iPhone significa venire meno alla propria missione di azienda che garantisce il prodotto migliore per il proprio cliente. È lo stesso discorso del cosiddetto Errore 53, lo smartphone che si blocca in caso di interventi di riparazione «non autorizzati».


 «Stiamo sfidando l’Fbi nel massimo rispetto per la democrazia americana e con amore per il nostro Paese», scrive ancora Cook in quella che forse è una delle lettere più difficili della sua amministrazione post-Jobs. «Mentre crediamo che le intenzioni dell’Fbi siano le migliori, abbiamo però paura che questa richiesta potrebbe minare le libertà che il nostro governo intende invece proteggere»

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