Al processo di Palermo il figlio di don Vito ripercorre i rapporti dell'ex sindaco mafioso Dc con i servizi segreti. E afferma che il boss corleonese non temeva l'arresto grazie ad "accordi con le istituzioni". "Mio padre incontrava Berlusconi per investimenti a Milano due". Deposizione interrotta per malore. Ghedini: "Infondato"
Bernardo Provenzano? “Ci andavo a mangiare la pizza, era libero di muoversi grazie ad accordi siglati con le istituzioni”. I rapporti tra Vito Ciancimino e i servizi segreti? “Cominciarono alla fine degli anni ’60 e sono continuati fino alla sua morte”. Silvio Berlusconi: “Incontrava don Vito, che investì denaro nella costruzione di Milano 2”. All’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo va in onda la prima puntata della testimonianza più attesa del processo sulla trattativa tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni: quella di Massimo Ciancimino.
Il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è un teste chiave del processo sul patto occulto tra Stato e mafia: l’inchiesta coordinata all’inizio dall’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia nacque infatti sulla base delle dichiarazioni messe a verbale da Ciancimino junior a partire dal dicembre del 2008. Dichiarazioni che hanno avuto il merito di “accendere” la memoria di alcuni esponenti delle istituzioni (abili a ricordare eventi fondamentali per la ricostruzione dell’accusa con vent’anni di ritardo), mentre lo stesso Ciancimino è finito tra gli imputati: è accusato di concorso esterno a Cosa nostra e calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro.
Adesso, dopo cinque anni d’indagini, tre di processo, e a nove da quella clamorosa intervista rilasciata a Panorama (quando parlò per la prima volte degli incontri tra il Ros e suo padre Vito nel giugno del 1992 per fermare le stragi), per Ciancimino è il momento di salire sul banco dei testimoni per raccontare la sua versione. E lo fa senza essere più assistito dalla sua storica legale, l’avvocata Francesca Russo che proprio oggi ha rinunciato al mandato. E mentre il boss Totò Riina è collegato in videoconferenza dal carcere di Parma, dove si è accomodato su una lettiga dopo il ricovero dei giorni scorsi a causa di un’insufficienza renale, Ciancimino riavvolge indietro il nastro dei ricordi. A cominciare dai legami antichi tra suo padre, la mente politica dei corleonesi che arrivò a fare il sindaco di Palermo con la Dc e Bernardo Provenzano.
“Con Provenzano andavamo a mangiare la pizza”. “C’era un rapporto anche molto confidenziale, da ragazzino la sua presenza settimanale a casa nostra era una costante. Provenzano usciva assieme a noi, e andavamo anche a mangiare la pizza: spesso si andava a San Martino delle Scale o a Baida”, è stato l’incipit della testimonianza di Ciancimino Junior. “Io ho preso contezza di questo personaggio, che all’epoca si presentava anche al telefono come l’ingegnere Lo Verde, verso la fine degli anni Settanta, tra il 1978 e il 1980, quando accompagnai mio padre dal barbiere, dove c’era una copia del settimanale Epoca che pubblicava l’identikit di Provenzano. Dissi: papà su Epoca c’è un identikit di uno dei più pericolosi latitanti, l’ingegnere Lo Verde è Provenzano. Lui rispose con uno sguardo duro: ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno, neanche io”, ha detto il teste interrogato dai pm Nino Di Matteo, che rappresenta l’accusa insieme ai colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Il testimone ha poi raccontato i rapporti epistolari tenuti tra don Vito, Provenzano e Riina: in pratica il gotha di Cosa nostra. “Io per anni ho fatto da postino nello scambio dei pizzini tra mio padre e Provenzano. Mio padre era molto cauto nel gestire la corrispondenza: li apriva con i guanti in lattice, li fotocopiava e poi li bruciava. Quando arrivava una lettera di Riina, che lui non stimava per niente, era un momento di ilarità”. Secondo Ciancimino Junior don Vito considerava Riina “intellettualmente limitato e aggressivo. E spesso lo chiamava pupazzo”.
“Il signor Franco portava a mio padre dossier top secret”. Un capitolo importante della testimonianza di Ciancimino junior è quello relativo ai legami tra don Vito e i servizi. “I rapporti cominciarono tramite l’ex ministro dell’Interno Franco Restivo, dalla fine degli anni ’60, e sono proseguiti fino a poco prima della morte di mio padre. Restivo chiese a mio padre di fare da tramite coi corleonesi, mafiosi suoi compaesani che allora stavano prendendo il potere”, ha raccontato il testimone, che poi è tornato a fare il nome del signor Franco/Carlo, il misterioso 007 che avrebbe intrattenuto rapporti con Vito Ciancimino per una trentina d’anni. “Il signor Franco era una sorta di collettore di informazioni, una persona poco nota che non destava sospetti e che teneva i contatti con mio padre. Gli consegnava dossier su carta intestata del ministero dell’Interno, questo sicuramente dal 1984 e anche negli anni seguenti: io poi avevo l’incarico di disfarmene”. Lo stesso Massimo avrà negli anni successivi un rapporto diretto con il misterioso uomo dei servizi: “Avevo un numero di telefono al quale contattarlo: lui mi tranquillizzava quando c’erano motivi di preoccupazione. Quando fui indagato per mafia lo stesso giorno della morte di mio padre, lui mi rassicurò dicendomi che era un modo per tutelarmi, così mi sarei potuto avvalere della facoltà di non rispondere se mi avessero sentito sulla trattativa”.
I soldi di Cosa nostra a Berlusconi. Nel primo giorno della sua deposizione, interrotta per un malore e rinviata all’udienza di domani, Ciancimino è arrivato a raccontare anche i rapporti economici che sarebbero intercorsi tra l’ex sindaco mafioso di Palermo e Silvio Berlusconi. “Nel 1976-1977 venne proposto a mio padre di investire nell’attività dell’imprenditore milanese Silvio Berlusconi che stava costruendo Milano due. Promotore dell’iniziativa fu Stefano Bontate. Lui accettò e all’affare parteciparono anche gli imprenditori Buscemi e Bonura. Ci fu anche una partecipazione di Provenzano”. Secondo l’ultimo figlio di Vito Ciancimino, suo padre “conosceva Berlusconi. Si erano visti a Milano, me lo disse lui, tramite Bontate ma anche tramite Marcello Dell’Utri. A mio padre venne chiesta anche una consulenza urbanistica sul progetto Milano due, per valutare il tipo di operazione. Lui si meravigliava della velocità con cui l’imprenditore era certo di ottenere le opere di urbanizzazione”.
Immediata la replica dell’avvocato Niccolò Ghedini che bolla le dichiarazioni di Ciancimino come “infondate e già smentite in modo radicale ed inoppugnabile nelle sedi processuali, in relazione a presunti rapporti fra suo padre e il presidente Berlusconi. Per tali affermazioni si procederà in ogni sede”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/04/trattativa-stato-mafia-ciancimino-jr-in-aula-con-provenzano-mangiavo-la-pizza-era-libero-di-muoversi/2434471/
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