Dalla Casa Famiglia Capitano Ultimo, che ha fondato nel 2009 e dove abita, De Caprio spiega che il suo non è un lavoro, “io combatto”, e che la sua lotta alla mafia si fa sulla strada, “senza volere niente in cambio”
E per questo ringrazia i suoi “maestri”, il generale Dalla Chiesa, il giudice Falcone, il generale Mori
“Ho imparato il mio lavoro nelle stazioni dei carabinieri, le piccole caserme sono una grandissima scuola”, dice
E non è cambiato. “Ho salutato mia mamma, mio padre e mia sorella quando avevo sedici anni, e l’ho sempre portati nel cuore, li ho sempre sentiti ogni giorno accanto a me, anche ora che mio padre è morto
L’amore che abbiamo per il nostro popolo è così grande che ti fa dimenticare tutto”, aggiunge raccontando il suo impegno nella casa Famiglia Ultimo, una struttura pubblica convenzionata dal Comune di Roma, che si occupa di disabili e minori abbandonati
Anche questa una missione. Tante iniziative: dalla raccolta fondi per i disabili all’apertura di un maneggio per l’ippoterapia, all’allevamento dei falchi. «Avevamo anche le aquile, amo la loro purezza e la loro libertà»
Controcorrente, irrequieto, ma rispettoso degli ordini (come quando gli fu tolta la scorta), è lui stesso a raccontarsi, a partire dal nome di battaglia
«Ho scelto Ultimo perché vedevo che tutti volevano essere primi, volevano essere più bravi, più belli, volevano emergere, ricevere prestigio
Mi facevano schifo perché – spiega il capitano – credo che il lavoro del carabiniere sia un donare e non un avere”
Nessuna polemica per la rimozione dalle funzioni investigative, “rispetto le decisioni, credo che il mio lavoro possa parlare per me”
http://www.net1news.org/italia-/capitano-ultimo-io-non-lavoro-combatto-sono-scomodo-ma-accetto-gli-ordini-superiori/
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