venerdì 11 maggio 2018

Come in «The Terminal»: SIRIANO PRIGIONIERO in AEROPORTO da mesi


Hassan Al Kontar, 36 anni, è bloccato nella zona di transito dello scalo di Kuala Lumpur dal 6 marzo scorso:
il suo passaporto è scaduto, come il visto temporaneo per la Malesia. Su Twitter racconta il suo dramma: «E ora spero nel governo canadese»

Come in un film, che da commedia diventa dramma

Hassan Al Kontar, siriano «prigioniero» all’aeroporto di Kuala Lumpur, sta vivendo una storia alla «The Terminal», la pellicola del 2004 di Steven Spielberg in cui Viktor Navotski (un grande Tom Hanks) rimane bloccato all’aeroporto JFK di New York perché nel suo Paese, l’inesistente Cracozia, è scoppiata una guerra civile. La storia a cui si ispirava, quella dell’iraniano Mehran Karimi Nasseri che nello scalo di Parigi ci restò 18 anni, era vera

Vera come la guerra nello Stato da cui viene Hassan, la Siria, uno dei motivi per cui dal 6 marzo scorso lui è costretto a vivere nella zona di transito del terminal 2 di Kuala Lumpur, la capitale della Malesia

Come è finito nel limbo
Hassan, marketing manager di 36 anni, nel 2006 si era trasferito negli Emirati Arabi, ben prima che la Siria fosse distrutta dal conflitto tra Assad e i ribelli

Nel 2012, ha raccontato a Vice News, è stato chiamato ad arruolarsi in Siria poco prima che il suo passaporto scadesse
Si è rifiutato, così l’ambasciata siriana gli ha negato il rinnovo:
niente documenti, niente visto, uguale addio lavoro

«Qui è iniziata la mia tragedia», culminata nel 2017 dopo anni da clandestino con l’espulsione da Abu Dhabi

«Se fossi tornato in Siria mi avrebbero arrestato per aver disertato»

Così Al Kontar è volato in Malesia perché «era uno dei pochi Paesi che permetteva l’ingresso ai siriani come turisti, senza un visto»

Non potendo lavorare, ha cercato di andarsene ma è rimasto in una sorta di trappola

«Una compagnia aerea si è rifiutata di farmi salire su un volo per l’Ecuador, dalla Cambogia invece mi hanno riportato qui»

In Malesia nel frattempo sono finiti i 90 giorni concessi a chi non ha un visto e lui ora non può più nemmeno salire su un aereo

 Così l’unico posto dove Hassan può stare è «la transit zone dell’aeroporto»

Una vita nello scalo e una speranza
Dorme su una coperta stesa sul pavimento, nascosto da una transenna, sotto una scala mobile

 Si lava nei lavandini del bagni pubblici, come Tom Hanks, aspettando che sia tardi per evitare il traffico dei viaggiatori

Mangia pacchetti di cracker di riso offerti da una generosa compagnia aerea

Quando vuole trattarsi bene va al McDonald’s
Su Twitter racconta il suo dramma con video quotidiani, nelle giornate buone riesce persino a scherzare con l’hashtag #TheTerminal2

In uno degli ultimi che ha pubblicato sta in silenzio per 20 secondi, poi comincia a parlare: «Vi siete annoiati? Ecco, io mi sento così da 63 giorni»

Diverse Ong si sono interessate al suo caso, l’Alto commissariato per i rifugiati ha mediato con il governo malese

Alla fine gli hanno offerto un permesso da rifugiato, che però gli impedirebbe di lavorare

Per questo Hassan ha rifiutato: «Questa è la mia battaglia per la dignità, i diritti umani, la pace. Ai miei connazionali dico: non accettate mezze soluzioni, non vivete una vita a metà»

Il 27 aprile un’organizzazione canadese gli ha fatto sapere di essersi mossa con il ministro dell’immigrazione per offrirgli un permesso di soggiorno

«Tempestatelo di mail», chiede ora Hassan ai suoi follower. «Ho bisogno di voi per andarmene di qui»




https://www.corriere.it/esteri/18_maggio_10/hassan-al-kontar-the-terminal-siriano-prigioniero-aeroporto-2-mesi-e1f1673e-542f-11e8-9a5b-9f97999a0713.shtml?intcmp=exit_page

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