domenica 6 gennaio 2019

Astutillo Malgioglio: un EROE che a Roma ha parato la cattiveria del calcio codardo



Iniziarono con Raffaella, la moglie conosciuta in gioventù a Brescia, il palo più solido della sua porta, la barriera da piazzare tra sé e un mondo che non lo capiva
La incontravano al supermercato, la indicavano senza pudori, poi qualcuno, più vigliacco di altri, si faceva coraggio
«Sei la moglie del portiere Malgioglio, vero? Brutta zoccola, spiegalo a tuo marito che è una testa di cazzo»


Continuarono con la figlia, a scuola, con la tipica cattiveria di cui i bambini, adeguatamente guidati, sanno essere maestri

 «Sei una mongoloide, come tuo padre», finirono con lui, in un giorno di sole del 1986, allo Stadio Olimpico

Nove marzo, Lazio-Vicenza, serie B
Lo striscione in curva non lasciava spazio alle interpretazioni
«Torna dai tuoi mostri»

Astutillo Malgioglio quel pomeriggio non riuscì a concentrarsi
 «Sporco romanista / sei il primo della lista»
I cori gli rimproveravano l’esperienza con la casacca della rivale di sempre e cadevano puntuali, ogni due minuti
Lui giocò male
Prese un paio di strani gol da un mestierante veneto, Rondon, poi, oppresso dal clima, non riuscì a fare primavera

All’ennesimo insulto, a fine partita, si tolse la maglia, ci sputò sopra e la gettò verso la curva
In quello stesso momento decise di chiudere col calcio

Lo sport grazie al quale da giovane, prima della laurea in medicina, era riuscito ad arrivare in Nazionale
 Il pianeta che mai si era sforzato di capire come mai, al posto di autosaloni e discoteche, spendesse ferie e guadagni per aiutare i bambini distrofici

 Lo guardavano di traverso, ironizzavano, lavoravano sull’esclusione.
«Ero isolato ma negli anni ho ricevuto soprattutto indifferenza»
Malgioglio conosceva quella sensazione

Lottava ogni mattina per gente meno fortunata di lui fin dal 1977
Ad un tratto non ce la fece più e squarciata la timidezza, lasciò esondare il disprezzo

A Roma, dopo la tranquillità della Laurentina, gli avevano consigliato di abitare nei pressi dello stadio

Nei fatti viveva tappato in casa. Quando metteva piede all’aria aperta, le conseguenze del disamore cadevano come mattoni
A Tor di Quinto, il vecchio complesso in cui Tommaso Maestrelli aveva edificato lo scudetto della Lazio nel ’74, avevano provveduto a distruggergli la macchina con mazze e bastoni
Mani anonime

I tifosi lo odiarono senza mediazioni
La voce della sua passione per i meno fortunati si sparse rapida e la logica del branco fu la conseguenza naturale di una filosofia di grana grossa

Lo accusavano di scarso impegno
«Se stai sempre con gli handicappati, quanno ce pensi ar pallone?»

Niente di nuovo per Tillo
Da giovane, a Brescia, ad ostacolarlo era stato il tecnico delle valli bergamasche Marino Perani, eroe autarchico del Bologna 1964
Sepolti i tempi in cui “faceva tremare il mondo”, Perani si accontentava di orizzonti minori

 E Malgioglio zitto, in tuta o pantaloncini
Col baffo silente
Educato
Si buttava a destra e a sinistra, colorava le ginocchia di rosso e terminata la fatica rimontava in macchina

Parcheggiava, superava la scritta sulla porta, e spalancava un universo differente.
“Era”, acronimo delle iniziali dei suoi cari, rappresentava l’isola trovata, l’oasi in cui giocarsi il cielo a dadi
La scommessa, davvero eccezionale, essere un uomo normale
Solidale, ricettivo, l’ego in un angolo perché qualcosa che conti di più, a cercarlo, esiste davvero. Bastava guardarli

Le gambe ferme, i pensieri veloci. Non servivano parole. Volevano compagnia. Comprensione
«Avevo incontrato il dolore da ragazzo. Non riuscivo a dimenticare, bussava forte. Quando scoprii la sofferenza, decisi di darmi davvero»

La capitale rimase sorda
Prima esperienza nella Roma post scudetto, un anno filtrato dietro la luce buia della panchina a osservare il titolare, Tancredi. La giovinezza che sfiorisce dietro le promesse, i «vedremo, non ti agitare», le scelte unidirezionali del coach svedese Eriksson

Poi il passaggio alla Lazio
Un viatico pessimo
Ad ogni allenamento la stessa replica
Bottigliette, sputi, pomodori

«Ero dispiaciuto per loro
Che i tifosi non provassero a calarsi in una dimensione diversa mi sembrava impossibile

Intorno a me, i compagni si nascondevano
Sparivano, sembrava fossi un appestato. Nessuno che si ribellasse, prendesse posizione, dicesse basta
La provenienza romanista, comunque, era solo una scusa»

 Quel giorno col Vicenza, l’accettazione supina si trasformò in rabbia
«Mi tolsi la maglia con la consapevolezza di dire basta col calcio»
La società annusò il vento e poi cavalcò l’indignazione pelosa
 «I dirigenti si scatenarono e recitarono da ultrà
Proposero la mia radiazione
Fu come essere aggredito un’altra volta
 Mi accusavano con frasi prive di senso: 
“La bandiera non si tocca”, arringavano
“Malgioglio l’ha sporcata, deve andare via”»

Astutillo non attese il processo sommario, si tolse di mezzo da solo
Rescisse il contratto e si ritirò

Un giorno squillò il telefono. Dall’altra parte del filo, una voce amica, la prima, da tanto tempo. «Ho letto che abbandoni, mi dispiace
È un peccato
 Ripensaci
Se lo desideri, per uno come te, all’Inter c’è sempre spazio»

Giovanni Trapattoni sapeva intenerirsi
Tillo prese il treno e fece bene. Gli misero sotto il naso un contratto in bianco
Firmò senza fiatare
Cinque stagioni bellissime
Una rivincita preludio a un commiato definitivo

Divise il lavoro con Trapattoni, coinvolse Klinsmann nelle iniziative benefiche trascinandolo a pranzi benefici almeno due volte alla settimana, vinse lo scudetto dell’89, a distanza di un decennio dall’ultima impresa disegnata da Bersellini e poi, sul proscenio più temuto, il destino si prese la briga di disegnare un finale inatteso

Quattro marzo 1990
 Il programma del campionato prevede Lazio-Inter. Zenga sta male, tocca al numero 12

Lo stato delle cose non era cambiato
Le vite degli altri, neanche
 «Provai a spiegare al presidente Pellegrini che la natura delle persone non muta

 Ma lui niente
“Astutillo, qui dobbiamo dare un segnale chiaro
Porterai un mazzo di fiori sotto la curva, farete pace, vedrai”»

Eccolo allora, il campo
Un passo, due verso la sua ex curva
I fischi, allo Stadio Flaminio, una polifonia assordante
Ancora qualche metro, forse passa
Aumentarono

Poi dal cielo piovve di tutto.
«Passai momenti terribili, avanzavo con i fiori
Solo
Al centro della scena. Prima le contumelie,
 poi gli oggetti»

Un tiro a segno, col piccione ferito ad avanzare verso la trappola

«Radioline, pile, bottiglie e io in piedi, senza mai cadere
L’arbitro non sospese la gara, riuscii a rimanere in piedi
Uscii ferito
Il sangue che scendeva sul volto

Negli spogliatoi trovai freddezza, la stessa di pochi anni prima»

 Superata la prova più dura, Astutillo tornò nei ranghi. All’Inter non tolleravano semplicemente la sua passione
 La implementavano, la supportavano
Tempi felici
Alessandro Bianchi, suo compagno di squadra in nerazzurro, ricorda: «Un uomo semplice che mi aiutò ad inserirmi. Venivo da Cesena, fu come un padre per me. Agiva senza pensare al tornaconto, l’amore per gli altri gli veniva da dentro»

Lui, a suo modo, conferma il quadro
«Come atleta non ho mai derogato ai miei impegni. Arrivavo per primo, lasciavo il centro sportivo per ultimo. Mai saltata una seduta
C’era però chi riteneva di poter controllare la vita privata al di là della rete
Un calciatore, per quelli del settore, doveva solo correre. “Cosa cerchi Astutillo? Non ti basta quel che hai?”»

Non gli bastava, ma quando le luci tramontarono, con la gloria finirono anche i soldi

«Ho aspettato un cenno, ma il telefono, all’improvviso, smise di squillare. Il pallone è questo, inutile girarci attorno»

“Era 77”, la sua associazione, oggi non esiste più
«Offrivo assistenza gratuita e il denaro per un’idea del genere, l’unica possibile, non c’erano più. Ho regalato i macchinari. Finché ho potuto, raggiungevo i pazienti a domicilio»

Poi la salute si è messa di traverso e Tillo ha rinunciato allo scopo di tutta un’esistenza. Del proprio male, preferisce non parlare

«Sono stato comunque un uomo fortunato, ho ancora la mia famiglia e non chiedo di più»
 La sua terra di mezza, dove il gelo non può scendere, né i petali di alcun fiore cadere

*Articolo pubblicato dal quotidiano «l’Unità» del 10 dicembre 2008 

Il personaggio
Oggi Astutillo Malgioglio è tornato a vivere, là dove, nel maggio di cinquant’anni fa, nacque
A Piacenza
Cresciuto nelle giovanili della Cremonese, passò al Bologna e si affermò nel Brescia dove fu promosso in serie A con la stessa squadra lombarda nel 1980
Nella sfortunata stagione successiva, il Brescia retrocesse. Allora Astutillo emigrò a Pistoia e nell’estate ’83 a Roma
Nella formazione di Eriksson Malgioglio trovò poco spazio, ma persino peggio gli andò con la Lazio, l’anno dopo

Aveva deciso di ritirarsi, ma Trapattoni lo richiamò all’Inter nel 1986

Cinque anni magnifici e uno scudetto da comprimario. Apprezzatissimo

Nel Natale del 1977, l’incontro con i bambini distrofici
Malgioglio aveva 18 anni e lo invitarono
«Vieni con noi, vogliamo mostrarti qualcosa»

 Il cattolicissimo Astutillo seguì gli amici e passò una vigilia speciale con i bambini distrofici. Da quel giorno, spese denaro, ferie e credibilità per aiutare i meno fortunati. Sforzi economici e personali che gli valsero la progressiva esclusione da un mondo, quello del calcio, che mai tollerava chi derogava dalla linea prestabilita
L’indifferenza lo ammantò a lungo
Fino alla fine




http://www.superando.it/2008/12/19/storia-di-astutillo-malgioglio-il-portiere-che-difendeva-gli-ultimi/

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