domenica 10 maggio 2015

Isole Cook: paradiso diventato il luogo più grasso del mondo

Le isole di Cook hanno un tasso di obesità sopra il 50%. Ma in tutto il Pacifico del Sud nove su dieci sono sovrappeso. Tra le cause la dieta troppo calorica e vita sedentaria

di Cristina Marrone

Sono luoghi remoti e bellissimi. Paradisi lontani dove si sogna di fuggire per trovare sempre sole, mare e tanta serenità. Sono le isole del Pacifico che però, per chi ci vive, nascondono un’altra realtà, tutt’altro che invidiabile: vita sedentaria, poco esercizio fisico, dieta basata su alimenti importati e difficoltà ad accedere ai servizi sanitari. Il risultato? Sono la nazione più obesa del mondo.


La classifica
Si sa. Un terzo della popolazione mondiale è in sovrappeso o obesa. Ma il record mondiale dell’obesità (inteso come rapporto percentuale tra abitanti e persone affette dalla malattia) non appartiene all’occidente sviluppato ma alle isole Cook, arcipelago nell’Oceano Pacifico meridionale dove il tasso di obesità arriva quasi al 51% della popolazione, seguito dalla Repubblica di Palau (47,6%) e dalla Repubblica di Nauru (45,6%). Ma non è tutto: nei primi dieci posti della classifica, con un range tra il 35% e il 50%, si trovano altri nove Paesi della stessa Regione. L’unico Paese che non fa parte del Pacifico è il Qatar
. I dati sono dell’organizzazione mondiale della Sanità che da tempo sta cercando di intervenire con una serie di raccomandazioni per migliorare la situazione con politiche che promuovono un’alimentazione più sana, tasse su bevande zuccherate, commercializzazione controllata di prodotti destinati ai bambini nelle scuole. Di fatto però oggi, fino al 95% della popolazione di questi Paesi è obesa o sovrappeso. Ovvero, più di nove su dieci hanno una pancia che mette a rischio la loro salute.

Ma come si può spiegare questo fatto? Uno studio pubblicato anni fa sulla rivista Pubblic Health Nutrition e condotto dall’Università di Oxford suggerisce che i cambiamenti sociali, introdotti quando le isole erano sotto il dominio coloniale, hanno favorito abitudini alimentari scorrette. Per secoli gli abitanti delle isole sono stati pescatori e allevatori e fino ad allora si sono mantenuti in perfetta forma. Ma con l’arrivo dei coloni, dalla fine dell’Ottocento, la scoperta di giacimenti di fosfati e miniere di vario genere sulle isole e il loro conseguente sfruttamento aumentò la ricchezza (anche degli abitanti) e ne stravolse gli stili di vita. I coloni insegnarono agli isolani a friggere il pesce, che smisero così di mangiarlo crudo. Pian piano anche la pesca fu abbandonata. Ma con l’esaurimento dei giacimenti, alla fine del secolo scorso, gli isolani persero ricchezza e molti di loro, non potendosi più permettere frutta e verdura fresca ne comprano oggi surrogata d’importazione, a basso costo ma decisamente poco sana perché molto calorica e poco nutriente.

La condizione over size di queste popolazioni potrebbe essere in parte spiegata anche per motivi genetici. Almeno così ritengono alcuni scienziati, che fanno riferimento ai cosiddetti «geni risparmiatori», selezionati negli uomini primitivi e tuttora presenti in una parte di popolazione. In origine questi geni avrebbero avuto la funzione di far sì che chi ne era provvisto riuscisse a sopravvivere anche nei periodi di grande carestia o scarsità alimentare, pur assumendo pochissimo cibo, in quanto questo patrimonio genetico avrebbe consentito di estrarre dal poco cibo ingerito le calorie ed il nutrimento minimo necessario per la sopravvivenza. Così gli uomini del Pacifico potevano cavarsela durante i lunghi viaggi da un arcipelago all’altro. Se i «geni risparmiatori» per gli uomini primitivi erano utili, oggi, in una società come la nostra sarebbero però addirittura dannosi, favorendo appunto obesità e diabete.

Quello che preoccupa molto l’Oms sono le conseguenze sui bambini. «Circa un bambino su cinque è obeso e questo ha ripercussioni a lungo termine come l’insorgere precoce del diabete II che colpisce i bambini tra i 10-11 anni» spiega Emmanuela Gakidou, professoressa al Dipartimento di Salute globale all’Università di Washington. Basti pensare che la percentuale di diabetici alle isole Marshall è del 47%, la più alta al mondo. Ma nei Paesi confinanti il range è molto simile e va dal 25% al 47%. Diretta conseguenza dell’alto tasso di obesità.

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