martedì 19 marzo 2019

La descrizione degli attuali CAMPI DI CONCENTRAMENTO Libici: torture e umiliazioni


«I can’t believe, I can’t believe!», ha urlato quando da bordo della “Mare Jonio” ha visto la motovedetta della Guardia costiera libica allontanarsi
 «I can’t believe, non posso crederci», ha più volte ripetuto scuotendo la testa, questo giovane senegalese di 24 anni che ora sta sul ponte della nave, vede la costa di Lampedusa a un passo ma non può ancora scendere: «Dal Senegal sono scappato cinque anni fa, lì ho moglie e due figli che non vedo da quando sono nati e io avevo 19 anni. Sono andato a cercare un posto dove guadagnare i soldi per sostenere la mia famiglia, invece sono rimasto chiuso nelle prigioni libiche per cinque anni»
Il suo racconto a questo punto si fa ancora più crudo: «In quelle prigioni ho visto morire almeno cinquanta persone, molte per denutrizione, gente che non poteva lavorare perché ammalata e senza forze e che per questo i libici abbandonavano al loro destino e alle quali davano da bere acqua con le urine» 

Il giovane senegalese ha raccontato ai soccorritori della nave Mare Jonio che prima di domenica scorsa, aveva tentato già quattro volte la traversata, e ogni volta la Guardia costiera libica lo aveva riportato indietro, nelle stesse carceri, dove ha continuato a subire torture:

 «Non sapete a cosa può arrivare il razzismo dei libici nei confronti di chi arriva dai Paesi dell’Africa nera»

Il suo «non posso crederci» è liberatorio, l’attesa davanti a un porto europeo, se anche dovesse durare giorni, per lui è un dettaglio ormai

«Devo dire che vedere la Guardia costiera libica con i mitra spianati - dice Mario Pozzan, 24 anni, veneziano e coordinatore del rescue team della “Mare Jonio”, uno di quei ragazzi che con i gommoni veloci della nave raggiungono materialmente le fatiscenti imbarcazioni dei migranti - fa un certo effetto

 Si capisce che loro, i libici, più che salvare vogliono catturare»

La storia del ragazzo senegalese assomiglia tragicamente a quella di tanti altri, tra i 49 migranti salvati al largo di Zuara lunedì pomeriggio dopo essere rimasti in mare su un gommone per un giorno e mezzo:
 «Ci hanno raccontato che sono partiti alle 4 del mattino di domenica 17 marzo - dice Lucia Gennari, del legal team di Mediterranea Saving Humans a bordo della nave -.

Sono tutti uomini dell’Africa subsahariana;
 abbiamo censito 14 minorenni, due in più di quanto pensavamo all’inizio, sono tutti soli e con età tra i 15 e i 17 anni

Diversi hanno addosso segni visibili di torture, la maggior parte era al quarto o quinto tentativo, visto che ogni volta venivano ripresi dai libici, di cui sono terrorizzati

 Quando hanno visto arrivare la loro motovedetta, alcuni tremavano dalla paura»

Dei 48 ancora a bordo, uno è stato sbarcato stamattina a Lampedusa per le sue precarie condizioni di salute, ci sono persone che hanno vissuto insieme nelle stesse carceri, amici, perfino due vicini di casa

 «Le loro condizioni di salute sono discrete - spiega Gennari - ma dal punto di vista psicologico sono
 tutti molto provati»

C’è un giovane gambiano di 25 anni che nel suo Paese 
faceva l’autista:
 «Sono stato tre anni in Libia, per quattro volte ho tentato di scappare e ogni volta mi hanno riportato indietro
Ho parenti che da anni vivono in Germania e in Olanda ma io vorrei restare in Italia»
Era al suo terzo tentativo di fuga anche un giovane della Guinea Bissau, 27 anni

 Quando il medico di bordo, visitandolo, ha visto che gli mancavano le unghie in tre dita, lui gli ha spiegato:
 «Sono stati i libici, volevano sapere come erano riusciti a scappare dalla prigione alcuni miei amici, io non l’ho voluto dire e loro mi hanno torturato»



https://www.lastampa.it/2019/03/19/italia/torture-e-morte-nei-racconti-dei-salvati-sulla-mar-jonio-le-prigioni-libiche-li-fanno-tremare-ancora-LYPPIHlTjsrSQ9BszO2K6H/pagina.html

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