di Fadio Duranti
Sri Nisargadatta maharaj, affermando ”Io sono quello”, si ricollega alla genuina corrente interiore dell’immortale culla spirituale indiana, cosa oramai che non succede più forse neanche nella maggior parte della mitica terra bagnata dal gange.
“Tat tvam asi”, risuona da secoli in oriente, frase che tradotta significa “tu sei quello”.Ma cosa intende il saggio indiano con il termine “quello?”.Facciamo parlare il titanico vedantin : “Scoprite ciò che non siete. Corpo, sentimenti, pensieri, idee, tempo, spazio, essere e non essere, questo o quello. Non siete niente di concreto o astratto che potete indicare. Dovete osservare voi stessi e la vostra mente, attimo per attimo, senza lasciarvi sfuggire nulla. Ebbene, una volta scoperto che niente di quello che crediamo essere , in fondo siamo, avendo quindi tolti tutti i veli dalla faccia brillante dell’atman un pochino desto, siano questi dei veli emotivi, mentali, mistici, magici e quindi , assolutamente egocentrici, non rimane altro che la sensazione dell’io sono”. Questo senso impersonale dell’io sono , pero, rappresenta ancora uno stato di coscienza individualizzato, molto elevato forse e, come dire, brillante, che costantemente anche Nisargadatta indicava a chi lo ascoltava , di tentare di raggiungere. Però lo stato di questo io sono impersonale , non è certo equiparabile a quello inteso dal saggio , quando parla di “quello”. Premettendo che a volte nel suo discutere da una posizione metafisica assoluta e come dire , inavvicinabile dall’uomo ordinario moderno, affermava che , solo “uno su di un milione riuscirà a capire realmente quello che dico”, risulta molto evidente per noi che, ogni idea mentale formatesi nel nostro interno del concetto di “quello”, non rappresenti in realtà che, propriamente e solamente un concetto, forse addirittura , come dire sottilmente intuitivo e quindi non più mentale, ma ancora essenzialmente definibile, e quindi materialmente palpabile. Se lo stesso Nisargadatta definiva la sua esposizione della tradizione non duale del vedanta, con il termine “atman yoga”, questo ci illumina un po’ sul suo difficile sentiero di conoscenza .Infatti, comunque si voglia colorare la costituzione del nostro stato egocentrico inferiore, essa rimane sempre e perfettamente una forma del jivatman”, una proiezione cioè illusoria e materiale dell’atman stesso. Solo l’atman esiste, in quanto particella del parabrahamnan, il dio assoluto che trascende anche lo stato tipico di brahma, questo indicante proprio il livello che si raggiunge affermando “io sono”.La particella para indica uno stato che trascende anche quello di brahma, ovvero la prima manifestazione tangibile della divinità indefinibile. Se quindi , come è detto nel tao te king, "il tao che si nomina non è il tao”, quando anche osiamo affermare “io sono quello”, indicheremo sempre uno stato illusorio, poiché il quello che siamo alle radici di ogni nostro stato di coscienza possibile, non è certo una cosa definibile….Quindi la domanda enigmatica della misteriosa sfinge, per noi sempre, forse, rimarrà valida :” chi siamo? Da dove veniamo?, dove Andiamo?".
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