Salgono a fine giornata e scendono all’alba. Le coperte e i sogni appesi al sedile. Un conducente: «Fossero tutti barboni i viaggiatori notturni. Non disturbano mai»
di Andrea Galli
Le retrovie di Milano siedono nei primi posti della 90 e della 91, guardano ostinatamente in avanti come condannati ormai arresi o cavalli in corsa; però certe volte si girano di scatto al finestrino: succede alle fermate, a ogni fermata per il semplice fatto che prima o poi sarà l’ultima, per forza di cose l’autista dell’Atm annuncerà che il viaggio è finito e bisognerà ricominciare daccapo
. La pensilina, i minuti, le mezzore, un nuovo bus, la ricerca di un seggiolino libero, si spera il caldo alla giusta temperatura, si spera l’assenza di ubriachi che vogliono menar le mani e di travestiti che usano le sbarre per reggersi durante la marcia come i pali della lap-dance, ballandoci intorno e spogliandosi, il pubblico deliziato e affamato.
La 90 e la 91 eternamente percorrono la circonvallazione e sono state archiviate quali linee di un’altra città, questa irregolare, squallida, esclusivamente straniera, marcia e dolorosa; eppure nel lento incedere lungo viali e attraverso piazzali, ospitando migranti che vanno e vengono da un posto di lavoro e si portano dietro gli odori del fritto come due flaconi di Vetril per gli uffici da pulire, a una certa ora della notte la 90 e la 91 raccontano sì un’altra Milano. Ma popolata d’italiani. Giovani, donne, vecchi. Dalle 23 questi bus sono pieni d’italiani. Italiani senza casa, senza famiglia per scelta propria o altrui; senza lavoro; con l’orgoglio o la paura di non abbandonarsi all’aiuto dei dormitori; e con la consapevolezza che anche il più spietato dei controllori, forse, risparmierà l’accanimento contro un povero cristo accasciato su se stesso. Barboni. Clochard. Senzatetto. Chiamateli come volete, per loro non fa differenza.
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