sabato 18 aprile 2015

Scuola di polizia fa vedere il film «Diaz» ai futuri agenti

L’iniziativa del direttore, che quella notte tragica a Genova c’era - «I fatti narrati sono tutti veri e dimostrati. Proprio per questo se ne deve parlare. E io chiedo scusa»

di Claudio Del Frate



La premessa è chiara e sintetica: «Dobbiamo imparare più dagli insuccessi che dalle cose fatte bene». Poi buio in sala e sullo schermo, davanti a 160 ragazzi, cominciano a scorrere le immagini del film di Daniele Vicari «Diaz» che ricostruisce i tragici e poco confessabili avvenimenti del G8 di Genova. Non siamo in un cineclub, non siamo nella sede di una associazione no global ma nella scuola per allievi della Polizia di Stato di Peschiera del Garda (Verona) e chi ha avuto l’idea di proiettare quella pellicola è il direttore della scuola, il dirigente Giampaolo Trevisi. Trevisi , 46 anni, non è un poliziotto qualsiasi; lui quella notte del luglio 2001 alla Diaz c’era e anzi un’immagine emblematica di quelle ore convulse lo ritrae mentre discute fa pochi centimetri dal volto di Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum. È stato lo stesso dirigente a rendere nota l’iniziativa sulla sua pagina Facebook dove chiede anche scusa per i fatti di quella notte
.

L’iniziativa di far vedere (e far discutere) il film di Vicari ai giovani che a breve indosseranno la divisa e che ai tempi del G8 genovese avevano meno di 10 anni è caduta esattamente l’indomani della sentenza di Strasburgo che ha condannato l’Italia, colpevole di aver consentito quella «macelleria messicana». Quel giorno era in programma una lezione diversa, con l’intervento di un esperto che all’ultimo ha però dato forfait. E Trevisi, a cui l’idea girava in testa da tempo, ha riempito l’ora «buca» con la proiezione del film. Il verdetto europeo ha smosso antichi rancori e sentimenti non sopiti come dimostrano lo sciagurato post dell’agente Tortosa e gli apprezzamenti che ne sono seguiti. «E quindi adesso permettetemi di non aggiungere ulteriori commenti, posso solo confermare quello che ho detto ai ragazzi prima della visione del film e che ho scritto su facebook» si fa schermo adesso il direttore della scuola.

DAL PROFILO FACEBOOK DI GIAMPAOLO TREVISI:

Gianpaolo Trevisi
10 aprile alle ore 23.20 ·
Diversi anni, capelli e sogni fa, ero davanti alla scuola Diaz, come si vede in foto, a discutere con Agnoletto; ad alcuni sembrerà strano che io non abbia detto nulla in questi giorni, dopo la sentenza della Corte europea, su quella nerissima notte e su tutto quello che è successo e non è successo dopo, ma in questa occasione, ancora più che in altre, ho pensato che era meglio fare, piuttosto che dire. Il giorno dopo la notizia, infatti, dopo aver parlato con loro, per circa un'ora, del mio G8 di Genova, ho fatto vedere ai 160 allievi, molti dei quali nel 2001 avevano 9/10 anni, il film Diaz. Aspetto la prossima settimana per discuterne insieme, perché so bene, avendolo visto più volte, che subito dopo l'ultima scena, i titoli di coda ti stringono il collo, ti lasciano senza fiato e senza parole; rimani in silenzio e immobile sulla poltrona, ben sapendo che, nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell'unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati. Proprio per questo, soprattutto tra di noi, se ne deve parlare e si deve litigare e discutere e domandare e rispondere, se si può. Proprio perché amo la mia Polizia sino al midollo, non voglio dimenticare quella notte e la voglio ricordare a chi la sta scordando e descriverla a chi non la conosce. Sono certo, infatti, che anche per la Polizia, come per noi tutti essere umani, valga il fatto che si possa crescere, migliorare e cambiare proprio riconoscendo i gravi errori e studiando gli insuccessi e i fallimenti. Certo restano sempre aperte le ferite di chi quella notte, dentro un sacco a pelo, stava inseguendo dei sogni, magari anche macchiati di utopia, e si ritrova, ancora oggi, a convivere con un incubo sporco di sangue. Anche davanti a loro resto senza parole, dopo averne pronunciata solo una: scusate. Alle volte, comunque, alcuni silenzi dicono tante di quelle cose da diventare assordanti o da trasformarsi in musica da far sentire a chi non sa ballare...




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