giovedì 5 novembre 2015

Distrutto il mito delle PROTEINE: meno ne mangi e più vivi

Il risultato non arriva da un magico elisir ma è l’ultimo passo di una ricerca che da cinque anni mobilita un folto gruppo di scienziati sotto la guida di Valter Longo, direttore dell’Istituto di longevità della University of Southern California dove insegna, e direttore del programma di ricerca “Oncologia & longevità” all’Istituto Firc di oncologia molecolare (Ifom) di Milano.

Un’alimentazione a basso contenuto di proteine e bassissimo livello di zuccheri per cinque giorni ogni 3/6 mesi. «Questo provoca un miglioramento della salute abbassamento dei fattori di rischio associati all’invecchiamento come ad esempio le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità e il cancro – spiega Longo -. Di conseguenza l’invecchiamento viene rallentato stimolando soprattutto una rigenerazione dei tessuti basata sulle cellule staminali». Una dieta simile - si spiega sulla rivista Cell Metabolism che pubblica il risultato - rafforza il sistema immunitario e nervoso eliminando le cellule danneggiate e inutili assicurandone invece la formazione di nuove secondo un processo naturale come avveniva alla nascita e durante la crescita. «I tempi e i modi devono della dieta essere seguiti da un medico perché è necessario tener conto delle condizioni fisiche in cui uno si trova – precisa Longo -.

Le ricerche sono state condotte prima sui lieviti (semplici organismi unicellulari), poi sui topi e ora anche sull’uomo. «Nei topi oltre agli effetti positivi riguardanti la riduzione dell’incidenza di cancro e delle malattie infiammatorie, il ringiovanimento del sistema immunitario e un aumento delle cellule staminali nei vari organi compreso il cervello migliorando l’apprendimento e la memoria, si è misurato un prolungamento dell’11 per cento della loro vita. Per l’uomo l’estensione possibile si può stimare intorno ad una decina d’anni col vantaggio di viverli in condizioni di salute migliori».


La ricerca è stata finanziata dal National Institute on Aging americano e con il team dell’University of South California e dell’Ifom hanno collaborato ricercatori delle università di Londra, del Texas, di Palermo, Torino e Genova. Longo (47 anni) genovese di nascita ha maturato la sua formazione negli Stati Uniti (dove è arrivato a 16 anni) prima all’Università del Texas e poi all’Univesity of California indagando, in particolare, gli aspetti neurobiologici dell’invecchiamento compresa la malattia di Alzheimer. Il suo occhio, comunque, non dimentica la natura guardando per questo innanzitutto ai centenari. «La loro è una storia che funziona – sottolinea Longo - ed hanno basi comuni che si trovino a Okinawa, in Grecia o in Italia. Studiarli, quindi, possono rivelarci aspetti preziosi sul prolungamento della vita».

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