giovedì 1 maggio 2014

Cosa Nostra usata per uccidere Salvatore Borsellino

- di Lorenzo Lamperti -

Vincenzo Calcara è l’uomo che doveva uccidere Paolo Borsellino. “L’ordine me lo diede Francesco Messina Denaro, il papà di Matteo”, racconta. Dopo aver conosciuto, quando si trovava in carcere, il giudice Borsellino la sua vita cambia. Decide di pentirsi “ma per davvero, nell’intimo e non solo per convenienza”. Avverte Borsellino del piano esistente per ucciderlo: “Provai ad aiutarlo ma lo Stato lo lasciò solo”. Ora Vincenzo Calcara si racconta in una lunga intervista ad Affaritaliani.it.
 
Perché Cosa Nostra decide di uccidere Paolo Borsellino?

Cosa Nostra prese la decisione nell’autunno del 1991 quando era ancora procuratore a Marsala. Ma non è stata solo Cosa Nostra a decidere la morte di Paolo Borsellino. L’hanno decisa anche altre forze, più potenti e più pericolose di Cosa Nostra stessa. Cosa Nostra è stata il braccio armato
ma non ha agito da sola. C’erano uomini delle istituzioni deviate che hanno contribuito a uccidere Borsellino.

Lei doveva essere il killer di Borsellino. Come arrivò a ottenere questo incarico?

Io a quel tempo ero latitante. Otto giorni prima di ricevere quell’ordine, nel settembre del 1991, sono riuscito a scappare da un accerchiamento di carabinieri e poliziotti. Ero un uomo di fiducia della Cosa Nostra trapanese. Mi venivano assegnati compiti delicati, non ero uno degli animali dei gruppi di fuoco. Non ero una macchina di morte. Ricorrevano a me per cose un po’ più sofisticate, come quando lavoravo alla dogana dell’aeroporto di Linate per il passaggio di denaro. Consegnai una decina di miliardi di lire al monsignore del Vaticano Paul Marcinkus. Ma quella volta volevano che fossi io a uccidere perché sapevano che di me potevano fidarsi. E io ero pronto a eseguire gli ordini.
 
Perché Borsellino faceva paura?

Faceva paura perché a Marsala stava cominciando a squarciare dei punti che dovevano rimanere oscuri. La provincia di Trapani è lo zoccolo duro di Cosa Nostra. Francesco Messina Denaro, il capo assoluto della famiglia di Castelvetrano e di tutta la provincia, era l’ombra di Riina e Provenzano.

Chi le diede l’ordine di uccidere Borsellino?

Francesco Messina Denaro, il padre di Matteo Messina Denaro. Riina e Provenzano andarono a Castelvetrano a incontrare Messina Denaro per mettere in piedi l’operazione. Messina Denaro mi disse: “Di questo Borsalino”, così lo chiamò, “non devono rimanere neanche le idee, deve morire e basta perché questo ci sta mettendo nei casini non solo a noi ma pure alle entità alle quali siamo collegati”. C’era un duplice piano: uno prevedeva l’omicidio tramite un fucile di precisione, l’altro prevedeva l’utilizzo di un’autobomba. Nel primo caso sarei stato io a sparare e Matteo Messina Denaro, insieme ad altri, mi avrebbe dato copertura.

Di quali entità parlava Messina Denaro?

Parlava delle cinque entità: Cosa Nostra e ‘ndrangheta più pezzi deviati dello Stato, della Chiesa e della massoneria. Cinque centri di potere diversi però complici, uniti come in un unico corpo. Tutte queste entità avevano interesse di uccidere Borsellino. Cosa Nostra da sola non esisterebbe neppure, sarebbe sempre stata vulnerabile.

Quali erano i rapporti di potere tra Messina Denaro e i corleonesi?

Francesco Messina Denaro era l’erede designato di Riina. Era il suo uomo di fiducia, gli aveva fornito la sicurezza durante la guerra di mafia e lo aiutò nella latitanza. Tutti gli agganci potenti e forti con le istituzioni e il potere occulto sono sempre stati a Trapani.

Sembra quasi che il vero potere allora stia a Trapani e non a Palermo. E’ così?

La cupola di Cosa Nostra stava a Corleone, ma il tramite con il potere deviato è sempre stato a Trapani. Francesco Messina Denaro aveva profondi legami con la massoneria, la politica, la chiesa, le banche. Trapani è sempre stato lo zoccolo duro di Cosa Nostra, la parte più forte.

Torniamo al piano dell’omicidio di Borsellino. Lei riceve l’ordine e poi che succede?

Succede che sento puzza di bruciato. Messina Denaro mi dice che dopo l’omicidio di Borsellino mi sarei dovuto trasferire in Australia. Una cosa strana anche perché restare latitanti non era, e non è, impossibile in Italia. Basti pensare a Provenzano che girava tranquillamente per Roma. Sentivo puzza di bruciato perché avevo trasgredito una grande regola di Cosa Nostra: avevo avuto una relazione con la figlia di un uomo d’onore. E quando si trasgredisce una regola di Cosa Nostra c’è la pena di morte, non è che ci sono appello e cassazione. Poi a novembre del 1991 mi hanno arrestato.

Quando decide di pentirsi e provare ad aiutare Borsellino?

In carcere ho cominciato a vivere un grande conflitto interiore. Ero nel carcere di Favignana in una cella di isolamento e dopo una lunga introspezione mi si sono aperti gli occhi. Pensavo di essere morto. Dentro di me mi sono detto: “Io qualcosa di male l’ho fatto, se muoio pazienza. Ma perché deve morire una persona come Borsellino? Io so che lui è condannato a morte e lui non sa niente, devo provare ad aiutarlo”. Ho capito che Cosa Nostra mi aveva plasmato, mi aveva inculcato l’odio. Mi avevano sempre insegnato che Cosa Nostra era invincibile, però avevano paura di un magistrato. Ho capito che il vero coraggio non era quello degli uomini di Cosa Nostra ma quello di Borsellino. E ho capito che gli infami erano loro, non io. Erano stati loro ad avermi usato. Erano pronti a uccidermi come un cane nonostante avessi fatto tutto quello che mi avevano ordinato. Così a gennaio del 1992, durante una mia testimonianza a un processo per l’omicidio del sindaco Lipari, dissi tutto rivelando il piano messo in piedi per uccidere Borsellino. Cercai di salvarlo ma lo Stato lo lasciò da solo e venne ucciso.

Che rapporto aveva con Borsellino?

Borsellino mi ha cambiato la vita. Mi ha insegnato a mettere al primo posto verità e giustizia. Mi ha insegnato a non avere paura. Mi veniva sempre a trovare non solo per interrogarmi ma anche semplicemente per parlare e darmi conforto. Ho visto più volte la sua agenda rossa. Dopo la morte di Falcone, Borsellino stava scoprendo tante pericolose, tramite me, Messina e Mutolo. Per questo hanno affrettato la sua morte. La condanna di morte c’era comunque ma tutti questi elementi hanno fatto sì che le cose si fecero anche prima del previsto. Borsellino si fidava di me e mi ha salvato la vita perché riuscì a farmi uscire dal carcere e mettermi al sicuro in un hotel a Roma.
 
In tutto questo come si inserisce la cosiddetta trattativa Stato-mafia?

C’erano uomini dello Stato deviato che avevano interesse a uccidere Borsellino. Chiamiamola trattativa, chiamiamola come vogliamo, ma qui si tratta dell’interesse vitale di sopravvivenza di questi centri di potere.

Questi centri di potere funzionano e sono in azione ancora oggi?

E come no? Le cinque entità esistono ancora e sono ancora più pericolose di prima. Tutti gli uomini che erano al vertice di questi centri di potere 20 anni fa hanno lasciato degli eredi che portano avanti questo potere in maniera anche più raffinata e pericolosa di prima.

Oggi è Messina Denaro l’uomo più potente di Cosa Nostra?

Messina Denaro è custode di segreti tremendi, potentissimi.

Riina dal carcere ha però insultato Messina Denaro. Quali sono i nuovi rapporti di potere tra Palermo e Trapani?

Sono tutte messe in scena, sono cose per distogliere l’attenzione da altri aspetti, anche politici. Il potere di Cosa Nostra è ancora fortissimo.

Lo Stato riuscirà mai a catturare Messina Denaro?

Messina Denaro non sarà mai catturato perché è troppo potente. Non conviene a nessuno farlo catturare. Ha in mano segreti troppo potenti. Messina Denaro fa comodo alle forze occulte. Se lo dovessero prendere sarà perché avranno trovato un’altra persona in grado di sostituirlo ma di sicuro questo non è il momento per arrestarlo. Ma secondo me morirà tranquillo come suo padre, in libertà e con un bel funerale alla luce del sole.

C’è il rischio di un ritorno a una stagione stragista?

Non credo, Cosa Nostra non ha l’interesse a tornare alle stragi. Sono convinto che Messina Denaro non voglia un ritorno alle stragi. Cosa Nostra non vuole svegliare la società civile, non gli conviene.

Il pm Di Matteo fa paura a Cosa Nostra?

Certo che fa paura, come tutti gli uomini giusti e onesti, però Di Matteo cercano di distruggerlo in tanti altri modi delegittimandolo e lasciandolo solo.

In Italia i pentiti, o collaboratori di giustizia, vengono abbastanza tutelati?

No, purtroppo lo Stato non è presente. Ci sarebbero molte più persone pronte a pentirsi con le dovute tutele. E invece si è lasciati da soli e la gente ha paura a parlare. Lo Stato abbandona i pentiti, come ha abbandonato me. Io sono andato avanti solo grazie all’aiuto di Salvatore Borsellino e di tutta la famiglia Borsellino, non di certo grazie allo Stato.

Un fatto paradossale…

Sì, certo. Ma io ho avuto un grande onore, quello di conoscere la famiglia Borsellino, di sentire per 20 anni quasi tutti i giorni Agnese Borsellino. Quando è morta mi hanno permesso di sedermi tra i famigliari più stretti e mi è stato dato l’onore di portare la sua bara sulle spalle. Quella notte hanno fatto dormire me e mia figlia Lucia nella casa di Paolo e Agnese Borsellino. Sono stato lì a fissare i muri per ore. Solo parlarne mi fa commuovere, è una sensazione che mi porterò dentro il cuore per l’eternità. Io ora voglio dedicare tutta la mia vita per portare avanti i valori che mi ha insegnato Borsellino.

Fonte: affaritaliani.it

http://www.informarexresistere.fr/2014/04/16/messina-denaro-non-lo-vogliono-prendere-parla-lex-pentito-vincenzo-calcara/

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