In tanti hanno espresso pareri anche discordanti sul risultato delle ultime elezioni politiche. Su un elemento, però, in molti hanno convenuto: i cittadini cominciano a essere stanchi di molte prassi di politica autoreferenziale in parte consolidatesi in Italia. Ecco, quindi, che può essere interessante raccontare, oggi, l’esperienza di un piccolo comune nell’utilizzo di uno strumento centrato sulla partecipazione: quella di Grottammare e del suo Bilancio Partecipativo (“BP”
).
Democrazia Rappresentativa e Democrazia Partecipativa
Questo caso è stato classificato dagli studiosi come una esperienza di democrazia partecipativa. Ma di cosa stiamo parlando?
La democrazia rappresentativa è, com’è noto, una forma di governo in cui i rappresentanti sono autorizzati attraverso le elezioni, a trasformare la volontà del popolo in atti di governo [1] e costituisce attualmente il regime politico più diffuso nei paesi occidentali. La democrazia diretta è, invece, la forma di democrazia nella quale i cittadini, in quanto popolo sovrano, non sono soltanto elettori che delegano il proprio potere politico ai rappresentanti ma sono anche legislatori e amministratori della cosa pubblica.
La democrazia partecipativa è una sorta di terza via fra i paradigmi precedentemente descritti.
L’opportunità di recuperare all’interno del modello rappresentativo elementi provenienti dal modello opposto è stata presa in considerazione a causa di una serie di fenomeni fra i quali i seguenti [2]:
sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti della politica (percepita come autoreferenziale) e delle capacità dei Governi ;
forte difficoltà per il sistema politico-istituzionale nell’affrontare temi su cui la conflittualità all’interno della società risulta spesso molto elevata;
presenza di nuove tecnologie informatiche e di comunicazione a causa delle quasi sta diventando tecnicamente possibile estendere la democrazia diretta ben oltre gli scenari attuali (es. in Italia, il referendum tradizionalmente inteso) ovvero applicazioni di e-democracy;
La teoria ha individuato in quest’approccio alcuni punti di forza e di debolezza caratteristici.
I pregi possono essere ricondotti al miglioramento delle relazioni ovvero, per dirla con Putnam, ad una azione di accrescimento del capitale sociale [15] della comunità nonché di incremento dell’efficacia delle decisioni. La tesi è che con gli approcci partecipativi gli amministratori possono imparare dai feedback forniti di chi più di ogni altro ha competenza per darglieli, i cittadini stessi [16]. Molti ritengono, poi, che questi metodi possono creare condizioni favorevoli allo sviluppo esperienze di coproduzione fra privati e Enti Locali, e quindi, a medio termine, di economicità nella produzione di servizi pubblici.
Passiamo ora ai difetti. C’è, intanto, una questione fondamentale: a chi si rivolge la partecipazione? Se in linea di principio la democrazia partecipativa mirerebbe a includere tutti i soggetti potenzialmente coinvolti, nella pratica le cose sono un po’ più complicate, data le difficoltà materiali e soprattutto la non scontata disponibilità di ogni cittadino a partecipare attivamente. Cosa che può determinare, alla fine, un livello di equità inferiore a quello della democrazia rappresentativa. L’approccio partecipativo, poi, spesso è promosso dall’alto : vi sono quindi rischi concreti di divenire un semplice rituale con cui la classe politica veste col termine di partecipate scelte sostanzialmente imposte secondo la tradizionale logica top down. Ulteriore punto critico risiede, infine, nel valore degli esiti della partecipazione. Questi non possono avere forza vincolante, dato che esistono comunque, ad esempio in un comune, un sindaco e un consiglio; di conseguenza potrebbe essere semplice eludere, manipolare o distorcere tali esiti e ciò in palese contraddizione con la filosofia del metodo. La soluzione, del resto, non potrebbe passare dal rendere obbligatorie le decisioni scaturite dalle esperienze di partecipazione (a causa del rischio di potenziale maggiore iniquità precedentemente descritta) quindi la questione risulta assolutamente aperta.
Partecipazione e componente locale
Lo sviluppo e il diffondersi delle pratiche partecipative è avvenuto soprattutto a livello locale ovvero, in Italia, in ambito comunale [3] per alcuni fattori ben individuabili.
Il primo è la natura stessa del comune quale “ente più vicino ai cittadini” e del suo accresciuto ruolo a causa della riforma del Titolo V parte II della Costituzione.
Il secondo è riconducibile all’affermarsi – da almeno un decennio – dei modelli di governo debole o governance specie nelle tematiche di sviluppo locale. Le funzioni tradizionalmente gestite ed erogate dai comuni sono spesso prodotte attraverso gruppi pubblici nei quali il comune ha la semplice funzione di committenza, neanche tanto forte. Un esempio tipico è quello delle multi utilities o delle aziende di trasporto locale in cui la maggioranza è quasi sempre in mano a una pluralità di soggetti, con il singolo ente che da solo non va oltre qualche punto percentuale del capitale azionario. In questi contesti il meccanismo naturale con cui i comuni hanno cercato di perseguire l’interesse pubblico è stato quello della programmazione negoziata, più che il tradizionale approccio top down o di government.
Infine vi è il ruolo delle Pubbliche Amministrazioni Locali di perseguimento dell’interesse comune, dimensione questa per certi versi inscindibile da quella del conflitto con gli interessi particolari [4], specie in alcune situazioni tipiche come l’apertura di impianti di gestione rifiuti, la realizzazione di grandi opere pubbliche, i casi di esproprio e così via.
Elementi di teoria del Bilancio Partecipativo
Il BP è, come detto, una delle forme in cui una democrazia partecipativa può attuarsi. Ma come potremmo definirlo in modo più preciso?
Uno dei massimi esperti in materia, Giovanni Allegretti (Architetto e urbanista, attualmente ricercatore senior presso il Centro di Studi Sociali della Facoltà di Economia dell’Università di Coimbra, Portogallo), ha utilizzato queste parole [5] : “È un processo decisionale che consiste in un’apertura della macchina statale alla partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nell’assunzione di decisioni sugli obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici. È quindi un processo di co-gestione territoriale che discute dei fini del governo territoriale, prima ancora che dell’ottimizzazione dei suoi mezzi”.
Nell’immaginario collettivo internazionale [6], l’origine del Bilancio Partecipativo viene attribuita ad una data e un luogo precisi: all’anno 1989 e alla metropoli brasiliana di Porto Alegre, capitale dello Stato del Rio Grande do Sul, oggi abitata da 1,4 milioni di persone all’interno di un’area metropolitana di oltre 5 milioni. L’esame del contesto in cui è avvenuta questa nascita è utile per capire alcune caratteristiche intrinseche dello strumento.
Intanto questo nasce con lo scopo di costruire una nuova relazione fra politica e cittadini: negli anni novanta il Brasile era uscito da poco da un ventennio di dittatura con le istituzioni democraticamente elette che partivano in un certo senso “da zero” in termini di acquisizione di legittimazione sociale.
Altro elemento strutturalmente connesso al BP è la sua natura di strumento finalizzato a una maggiore giustizia sociale: il territorio di Porto Alegre presentava forti disparità e tensioni sociali dunque il benessere della comunità non poteva non passare attraverso azioni specifiche verso le marginalità.
Dal 1989 in poi le esperienze di BP si sono moltiplicate; in America Latina, certo, ma anche nel nord del mondo e in Europa, con circa 100 casi stimati e 6 milioni e mezzo di cittadini coinvolti.
Studiando molte di queste esperienze Allegretti ha individuato un set di criteri minimi per poter attribuire a un’esperienza il nome di BP:
Esistenza di una dimensione finanziaria, oltre alla lettura delle priorità territoriali
Dimensione più ampia di quella del vicinato o del quartiere
Ripetitività nel tempo (non essere deve un evento isolato)
Presenza di momenti deliberativi (argomentativi e decisionali)
Presenza di feedback al cittadino, anche e soprattutto su ciò che non sarà fatto
Il caso di Grottammare
La nascita
Grottammare è un piccolo comune in provincia di Ascoli Piceno (circa 15000 abitanti), conosciuto soprattutto per essere il primo esperimento italiano di bilancio partecipativo, nonchè quello di maggior successo [7].
L’esperienza è partita coi primi anni novanta con la vittoria alle elezioni Amministrative della lista civica “Solidarietà e Partecipazione”, in buona parte slegata dai partiti tradizionali. Siamo negli anni di Tangentopoli e di crisi delle istituzioni locali, con il comune commissariato a causa delle dimissioni anticipate del sindaco per via di contrasti nella maggioranza. E’ in questo scenario che la lista “Solidarietà e Partecipazione” si presentava alle elezioni, individuando nella partecipazione popolare uno dei suoi capisaldi, vincendole nel 1993. La sua esperienza di governo ebbe, comunque, vita breve, a causa della fragilità della nuova maggioranza. Nel 1994 furono svolte ancora delle elezioni anticipate. Questa volta “Solidarietà e Partecipazione” trovò un accordo programmatico con altri partiti tradizionali e vinse le elezioni con una maggioranza più stabile. L’esperienza del BP si è mantenuta fino a oggi, attraverso una serie di conferme elettorali (1998, 2003, 2008) che ne hanno supportato la crescita e il consolidamento.
Il funzionamento
Nella sua formulazione originaria il BP prevedeva una suddivisione del territorio comunale in quartieri e la presenza di due assi portanti: le Assemblee di quartiere ed i Comitati di quartiere.
Le assemblee venivano convocate prima della redazione del Bilancio di previsione annuale per due cicli, prima dei passaggi in Giunta e Consiglio Comunale. I due cicli di incontri avevano lo scopo di ottenere un’approvazione condivisa delle priorità di ogni quartiere e permettere che queste diventassero parte integrante delle proposte regolarmente approvate dall’amministrazione.
I Comitati erano strumenti intermedi fra amministrazione e cittadini, concepiti per essere il più vicino possibile a questi ultimi. Venivano ugualmente definiti a livello di quartiere ma avevano carattere di permanenza, ovvero costituivano un canale di comunicazione sempre aperto. Avevano lo scopo di preparare durante tutto l’anno il lavoro delle Assemblee e, in essi, il cittadino oltre ad essere informato sullo stato di attuazione delle richieste precedentemente sottoposto poteva presentarne di nuove, richiedere assemblee tematiche o sollecitare l’apparato amministrativo su questioni particolari.
I due strumenti sono stati concepiti come complementari: i comitati per esplicare la dimensione continuativa e individuale della partecipazione, le assemblee per trasformare le richieste dei singoli in richieste della collettività.
Dal 2003 la formulazione è stata parzialmente rivista : i momenti di convocazione delle assemblee sono stati associati a due fasi definite come: “Gli Amministratori ascoltano i Cittadini”, in autunno e “Decido anch’io” a fine anno prima della stesura definitiva del bilancio [8].
Nella fase “Gli Amministratori ascoltano i Cittadini” la Giunta raccoglie tutte le richieste d’intervento fatte dai cittadini impegnandosi, prima dell’inizio della seconda fase, a razionalizzarle e a sistematizzarle in tre settori distinti:
Segnalazioni
Interventi di quartiere
Interventi cittadini
Le “segnalazioni” corrispondono a interventi di piccola entità che, una volta raccolte su tutti i quartieri vengono accorpate e girate agli uffici di competenza e stante la loro fattibilità sensatezza tecnica, evase. Gli “interventi di quartiere” sono usualmente connessi ad opere di costo e impatto intermedi. Sono quelle azioni in cui il peso della partecipazione ed del potere decisionale dei cittadini diventa determinante, dato che la realizzazione di una richiesta può escluderne un’altra. La liste degli interventi vengono consegnate all’interno del secondo ciclo assembleare con la Giunta vincolata ogni anno a realizzare l’azione più richiesta all’interno di ogni quartiere. Gli “interventi cittadini” sono, infine, quelle richieste che riguardano tutta la città: sono normalmente macro-interventi strutturali che impegnerebbero il Bilancio Comunale in maniera piuttosto importante. Anche in questo caso le richieste vengono isolate e portate su delle schede dove i cittadini possono esprimere la propria preferenza; in questo caso però la Giunta non si impegna a realizzare l’intervento entro l’anno ma solo a tener conto degli esisti per assicurare uno sviluppo condiviso alla comunità locale.
Nella fase, “Decido anch’io” (sempre realizzata mediante la convocazione di assemblee di quartiere e normalmente collocata prima della redazione del documento di bilancio) i momenti fondamentali sono i seguenti:
Il Sindaco rende conto delle risposte degli uffici tecnici in merito alla fattibilità o meno dei diversi interventi proposti nel corso dell’assemblea svolta nella prima fase di incontri.
I presenti sono chiamati ad esprimere la preferenza sugli interventi di quartiere, e sugli interventi cittadini, sapendo che il riflesso sulle azioni concretamente eseguite è quello precedentemente introdotto.
Oltre il BP: la pianificazione urbanistica partecipata
L’esperienza di partecipazione dei cittadini alla vita dell’amministrazione non si è fermata alla redazione del bilancio partecipativo ma ha interessato anche altri aspetti [5]. Esempio significativo è quello relativo al Piano Regolatore Generale.
Nel 1997 la nuova amministrazione decise di rimettere mano al documento di pianificazione territoriale seguendo, anche in questo caso, un percorso partecipativo. In questo caso tre sono stati gli elementi portanti:
Assemblee settimanali
Ufficio del piano regolatore
Comitati di quartiere
L’impianto messo in opera ha permesso di arrivare, in poco più di dodici mesi, alla modifica del Piano Regolatore, anche perché, proprio grazie alla partecipazione la stessa maggioranza ha ricevuto una forte legittimazione e condivisione popolare nell’assumere una decisione così radicale.
Analisi delle esperienze di Grottammare
La longevità dell’esperienza in oggetto ha permesso agli studiosi di analizzarne a fondo i vari aspetti: di questi faremo qui una breve rassegna.
Cominciamo con i risultati o meglio con gli outcome.
Un primo elemento osservato dallo stesso Comune [9] è relativo all’impatto iniziale: le prime Assemblee sono state letteralmente prese d’assalto dagli abitanti dei quartieri che chiedevano all’amministrazione più attenzione e opere di sostegno. Questa predominanza di richieste relative a interventi nei singoli quartieri pian piano si è assestata e, ad essa, si sono affiancate richieste cittadine. Ciò è stato letto come conferma del fatto che, con il passare del tempo, il processo partecipativo si è consolidato rendendosi “capace di mettere in moto meccanismi di apprendimento graduale (e) portando gli amministrati a ragionare sia singolarmente sullo sviluppo del proprio quartiere che in maniera globale, spostando la qualità della partecipazione su un livello decisamente più alto” [7].
Altro fatto notevole che gli studiosi hanno evidenziato [ivi] è che, anche grazie alla gradualità dell’apprendimento dei meccanismi di partecipazione, i cittadini non hanno mai “chiesto la luna”. Oltre il 60 % delle richieste sono state definite a basso costo (importo inferiore in generale ai 200.000,00 euro). Il 23% è stato classificato “a costo intermedio” (opere pubbliche che necessitano la definizione di appalti secondo il regime comunitario, ma che sono realizzabili all’interno della gestione delle spese del comune, di fatto tra i 200.000,00 e i 500.000,00 euro). Solo il 9 % degli interventi ha riguardato richieste ad alto costo, necessitanti l’interventi di finanziamenti ad hoc oppure l’utilizzo di procedure di project financing. Tutto questo ha permesso di realizzare ben il 90 % degli interventi richiesti.
La graduale e costante sperimentazione è stata da alcuni [5,10] direttamente correlata a diversi cambiamenti in positivo nel territorio grottamarese. Qualche numero: dal 1995 al 2002 le presenze turistiche sono cresciute dell’84%, la spesa sociale del 327%, quella per la cultura del 64% e quella per le manutenzioni urbane del 35%. La discussione sulle finanze locali ha dato alla tassazione un carattere fortemente progressivo, che ha abbassato al 4 per mille l’imposta per la prima casa, alzando notevolmente quella sulle case di vacanza e penalizzando duramente gli alloggi inutilizzati. Nonostante i trasferimenti statali e regionali siano cresciuti solo del 4% nei primi 8 anni di sperimentazione, la spesa pubblica ha potuto crescere del 97%, grazie al miglioramento dei servizi pubblici locali, alla razionalizzazione delle entrate tributarie e alla ferma volontà di mantenere pubbliche le farmacie comunali altrove privatizzate (i ricavi sono cresciuti del 490%).
Tutti questi aspetti hanno portato a ritenere Grottammare il caso di Bilancio Partecipativo in Italia, ad esempio in opposizione a quello di scarso successo del Municipio XI di Roma [7].
Passiamo ora ai fattori critici di successo.
E’ stato innanzitutto rilevato che nel caso di studio è stato l’associazionismo a farsi organo di amministrazione attraverso la creazione di una lista civica che è arrivata al governo della città abbattendo già in partenza una possibile barriera comunicativa fra associazioni e ente locale.
La presenza di una adeguata comunicazione è stata ritenuto un elemento assolutamente essenziale per l’attivazione del un processo partecipativo. In questo caso sembra di poter dire che la consegna, a tutti i partecipanti delle riunioni, della “sintesi di bilancio” (un foglio formato A3, preparato dai funzionari del comune, in cui su un lato venivano riportati tutti i titoli in entrata e sull’altro tutti quelli sulle spese, nonché una informazione su quelli che erano i costi fissi e i margini di spesa per l’anno successivo) sia stato il primo vero elemento abilitante del processo, pur senza far parte del processo propriamente detto.
C’è stato poi un importante sforzo fra organi tecnici e politici per acquisire sincronia nel supporto all’esperienza. Uno sforzo congiunto, questo, tutt’altro che banale, come testimoniano alcune dichiarazioni qui riportate.
“I rapporti tra noi ed il ragioniere capo all’inizio non sono stati semplici. La prima cosa che gli chiedevamo era la possibilità di riuscire ad avere una presentazione di entrate e spese che fosse chiara e semplice e che potesse essere rappresentata su un solo foglio anziché avere pagine e pagine di bilancio. E questa cosa non appariva così semplice da realizzare. Oramai tra me, l’assessore al bilancio, ed il ragioniere capo vi è una simbiosi.” [7]
“Ovviamente questo ha reso il tutto più faticoso, perché le assemblee di quartiere per gli amministratori sono tutt’altro che momenti di relax: è il momento in cui il problema del singolo diventa problema di tutti.” [9]
Un altro aspetto chiave è stato quello relativo alla scelta di non formalizzare il percorso attraverso un regolamento o con modifiche allo statuto comunale. Questo ha permesso allo strumento di affinarsi nel corso degli anni facendo sì che i cittadini stessi vi prendessero confidenza e soprattutto fiducia.
Ultimo fattore critico è l’aver impostato il rapporto coi cittadini non in termini di semplice dialogo ma di co-produzione di servizi: come si è detto in precedenza la maggior parte degli interventi richiesti sono stati segnalazioni, azioni di piccola entità se non addirittura a costo zero, ovvero soluzioni puntuali “pronte all’uso”, derivanti sostanzialmente da attività di controllo sostitutivo da parte dei cittadini sulle piccole carenze presenti. Azioni che il comune con le proprie forze, per motivi di costo e livello di capillarità, non avrebbe potuto mai attuare.
Abbiamo finora discusso cosa ha funzionato: passiamo ora all’altra faccia della medaglia.
Intanto è stato osservato che il funzionamento dell’intero meccanismo è stato in gran parte frutto del lavoro dell’attuale sindaco e della sua squadra. Questa considerazione ha fatto emergere vari dubbi sulla stabilità del processo instaurato che, se da un lato ha fatto della ridotta formalizzazione e della continua evoluzione i suoi punti di forza, dall’altro ha posto con essi anche le basi per la sua intrinseca fragilità (ad esempio a seguito di un cambio della coalizione vincitrice o del team di governo).
Voci dissonanti
Quanto visto finora, proveniente da fonti vicine all’amministrazione o ragionevolmente attese come autorevoli (università, esperti del settore etc…) ha trovato molti più elementi positivi che negativi.
Va detto però che non mancano anche le voci dissonanti, specie ricorrendo a fonti come articoli della stampa locale, blog e siti internet. Abbiamo deciso, in modo forse anomalo, di dar voce anche a queste per un semplice motivo: di partecipazione dal basso si sta parlando. Dunque sarebbe una contraddizione in termini prendere in considerazione solo le fonti più accreditate.
Ciò premesso possiamo dire che un quotidiano locale [18] ha riportato che il Sindaco e l’Assessore al Bilancio si sono presentati ad una assemblea dicendo sostanzialmente “non ci sono soldi, siamo costretti a vendere gli immobili, alzare le tasse e aumentare i prezzi di alcuni servizi”. “E la partecipazione?”, verrebbe da chiedersi. I commenti all’articolo contengono, poi, vari pareri fortemente critici: pochi presenti, dialogo pressoché assente, autoreferenzialità dello strumento definito “una bufala tremenda venduta come oro colato”.
Interventi di contenuto simile sono comparsi su altri articoli [19] o blog [20], quasi sempre riconducibili però più a esponenti di partiti all’opposizione (PDL, Movimento 5 Stelle) che a cittadini, per così dire, comuni.
Valutazioni sullo strumento
L’analisi del caso ha di sicuro evidenziato le notevoli potenzialità del BP. L’utilizzo dei tradizionali approcci nell’uso delle risorse (dichiaratamente o sostanzialmente di tipo top down) non solo non può, per definizione, accontentar tutti ma in più difficilmente può includere i metodi di ricomposizione di conflitti o gli elementi di potenziale apprendimento organizzativo che sono presenti nel BP [22].
Dualmente è anche emerso che il Bilancio Partecipativo sia uno strumento fragile, che si presta a distorsioni e utilizzi opportunistici: ne sono prova non tanto i pochi giudizi discordanti di cui sopra ma, soprattutto, le esperienze di iniziative simili vissute come meri adempimenti formali o mezzi di auto promozione in cui il valore prodotto per la comunità è stato nullo o quasi.
Sembra di poter dire, in conclusione, che il BP abbia i mezzi per esaltare e supportare una politica responsabile, ma il problema oggi è più nella mancanza di strumenti o nel loro uso distorto?
Un altro tema è, poi, quello dell’applicabilità concreta. A parte il dibattito teorico a monte su cui si sono espressi molti insigni studiosi [21] chiedendosi sostanzialmente “L’interesse pubblico è l’interesse di chi ?” qui più prosaicamente verrebbe da chiedersi: “Ma il cittadino ‘normale’ ha realmente tempo e voglia di impegnarsi in un coinvolgimento così profondo nella vita politica ?“. Avere una opportunità di partecipazione è sicuramente molto meglio che non averla, ma, sconfessati i miti di una sua introduzione a costo zero nonché quelli di possibili benefici nel brevissimo termine, viste anche le attuali carenze di risorse delle Pubbliche Amministrazioni, siamo sicuri che “ce lo potremmo permettere”?
Vi è, ancora, il tema dell’accountability. Abbiamo visto che sono stati riportati diversi dati numerici e, a una prima lettura, sembrerebbero quantificare senza dubbi la positività dell’esperienza : 90% di interventi realizzati, +35% di manutenzioni urbane e via dicendo. Ma quanto, in realtà, ci stanno dicendo? Non sappiamo né il documento ufficiale da cui provengono, né i livelli di performance prima dell’avvento del bilancio, né quale sia l’intervallo temporale a cui sono riferite le variazioni.
L’impressione finale è che il BP non possa essere uno strumento magico in risposta all’attuale crisi della politica ma anche che un atteggiamento di maggiore apertura, specie in certi contesti, possa portare a benefici tangibili.
Con la complicazione, però, della loro esatta valutazione: i documenti di rendicontazione, infatti, nascono spesso dal connubio di esigenze così diverse (trasparenza/coinvolgimento + comunicazione/acquisizione di consenso) che risulta davvero difficile capire dall’esterno quale sia la sostanza e quale la pura propaganda.
Bibliografia e Riferimenti
[1] Alain De Benoist, Democrazia rappresentativa e Democrazia partecipativa, lectio magistralis presso Società Filosofica Italiana, sezione di Salerno, http://www.sfisalerno.it/contributi/ALAIN%20%20de%20%20BENOIST.pdf
[2] Rodolfo Lewanski, La democrazia deliberativa Nuovi orizzonti per la politica, http://www.consiglio.regione.toscana.it/partecipazione/documenti/aggsocialidic07lewanski.pdf
[3] Lucia Mazzuca, Democrazia Partecipativa e Democrazia Deliberativa: un confronto, Tesi di laurea Anno accademico 2008/2009, Universita’ Degli Studi Roma Tre, Facoltà di Scienze della Formazione, http://www.fondaca.org/file/Governance/DemocraziaPartecipativaeDeliberativa/democrazia_partecipativa_e_democrazia_deliberativa_un_confronto_mazzuca_lucia.pdf
[4] Nimby Forum, www.nimbyforum.it/
[5] Giovanni Allegretti, Potenzialitá e limiti del Bilancio Partecipativo: alcune riflessioni, Arezzo – 30 Dicembre 2008, http://www.comune.arezzo.it/il-comune/direzione-generale/ufficio-politiche-per-l2019integrazione-la-partecipazione-la-cooperazione-decentrata-il-decoro-e-la-riqualificazione-urbana/processi-partecipativi/io-conto-il-bilancio-partecipativo-del-comune-di-arezzo/plonearticle.2010-09-22.0240685467/files/il%20bilancio%20partecipativo%20-%20presentazione%20allegretti.pdf
[6] Giovanni Allegretti, Le origini del Bilancio Partecipativo: un contributo dal Sud del mondo, http://lnx.csvbasilicata.it/wp-content/uploads/2011/09/le-origini-del-bilancio-partecipativo.pdf
[7] Gianluca Antonucci, Scelte strategiche Programmazione partecipata e Rendicontazione sociale negli Enti Locali, Tesi di dottorato a.a. 2009/2010 Facoltà di Economia, Università Roma Tor Vergata, http://dspace.uniroma2.it/dspace/bitstream/2108/1285/1/Antonucci+Tesi.pdf
[8]Comune di Grottammare, Come funziona il processo partecipativo, http://www.comune.grottammare.ap.it/contents/Come+funzione+il+processo+partecipativo/349
[9] Pier Paolo Fanesi, Bilancio Partecipativo – Esperienze, in Una Città n. 135, gennaio 2006, http://www.listeciviche.org/castrocaro/index.php?Title=Bilancio_partecipativo_-_esperienze
[10] Massimo Rossi (sindaco di Grottammare dal 1994 al 2003) e altri, Materiale sull’esperienza di Grottammare, http://www.prcgrottammare.it/solpart/index.htm
[11] Pier Paolo Fanesi , Grottammare partecipativa, http://www.comune.bergamo.it/upload/bergamo_ecm8/gestionedocumentale/08_Fanesi_testo_6493.pdf
[12] Articolo “Grottammare: capitale italiana della partecipazione”, http://www.parcosocialeventaglieri.it/pagine/partecipazione/casi.htm
[14] Università di Firenze, censimento esperienze di pratiche partecipative in Italia, http://www.lapei.it/public/books/Percorsi/CD/
[15] R.D. Putnam, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, Collana “Saggi”, Il Mulino, Bologna, 2004.
[16] Nikki Slocum, Participatory Methods Toolkit , United Nations University, 2003, http://archive.unu.edu/hq/library/Collection/PDF_files/CRIS/PMT.pdf
[17] Jenny Rossiter, Participatory Budgeting in the UK: Tool Kit, Church Action on Poverty Participatory Budgeting Unit, 2008 http://www.paolomichelotto.it/blog/wp-content/uploads/PBTollkit_May2008.pdf
[18]Articolo “Bilancio partecipativo: lo Stato taglia, i cittadini pagano. E anche i turisti” http://www.rivieraoggi.it/2011/11/19/131555/bilancio-partecipativo-lo-stato-taglia-i-cittadini-pagano-e-anche-i-turisti/
[19] Articolo “Grottammare il bilancio partecipativo va su Radio 3”, reperibile all’indirizzo http://www.rivieraoggi.it/2010/12/03/107800/grottammare-il-bilancio-partecipativo-va-su-radio3-rai/
[20] Blog La formica : http://comitatolaformica.blogspot.com/2010/11/veramente-grottammare-e-il-punto-di.html
[21] D. Sorace, Diritto delle amministrazioni Pubbliche una introduzione, Il Mulino, Bologna, 2005
[22] Adamo Campanelli, Al comune di Grottammare la 3a edizione del Premio “Buone pratiche nei servizi di pubblica utilità”, Il Quotidiano.it di Ascoli Piceno, http://www.ilquotidiano.it/articoli/2004/04/8/15033/al-comune-di-grottammare-la-3a-edizione-del-premio-buone-pratiche-nei-servizi-di-pubblica-utilita
http://www.bloom.it/2013/04/il-bilancio-partecipativo-del-comune-di-grottammare/?p=1471
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