lunedì 13 aprile 2015

Il caso dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni

Nota stampa ricevuta dai famigliari dei giornalisti Graziella De Palo ed Italo Toni.

La XX giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, vede da quest’anno l’inserimento dei nomi delle vittime della tragedia di Ustica del 27 giugno 1980 e della strage di Bologna del 2 agosto dello stesso anno.

Accanto a loro, da oggi vengono ricordati anche i giornalisti Graziella De Palo (Paese Sera e l’Astrolabio) e Italo Toni (i Diari), rapiti ed uccisi a Beirut il 2 settembre 1980 durante il conflitto libanese, un mese esatto dopo la strage alla stazione di Bologna. Ai più questi nomi diranno poco, a causa del silenzio imposto dal segreto di Stato voluto dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che provocò la censura sulla vicenda da parte di tutti i principali mass-media; le cause che hanno portato alla loro uccisione sono le stesse che hanno provocato la morte di tante vittime innocenti in quel tragico 1980.

L’omicidio di Graziella De Palo e Italo Toni vede inquietanti affinità con quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che sarebbero avvenuti in Somalia quattordici anni dopo. Sebbene il segreto di Stato sia ufficialmente scaduto lo scorso 28 agosto 2014, la verità da parte delle Istituzioni non è ancora stata svelata. I familiari e l’opinione pubblica, nonostante gli impegni assunti da parte delle più alte cariche dello Stato, non hanno ancora avuto nessuna risposta.

Tema scottante del viaggio di Graziella e Italo, intrapreso con l’accordo ed il pieno appoggio dell’OLP, era trovare riscontri sulle inchieste relative al traffico di armi che dall’Italia era diretto ai Paesi verso i quali erano in vigore embarghi militari stabiliti dall’ONU. In particolare i due giornalisti erano interessati a documentare nel loro reportage il flusso di armi che dal Libano ritornava in Italia e alimentava il terrorismo domestico
e quello internazionale di matrice arabo-palestinese. Le indagini dei due giornalisti proseguirono fino alla loro scomparsa a Beirut il 2 settembre 1980.

Graziella e Italo, ospiti dell’OLP, avevano alle spalle scottanti inchieste pubblicate in Italia prima del loro arrivo nel Paese dei cedri. Graziella De Palo, in particolare, aveva denunciato su Paese Sera e l’Astrolabio il traffico internazionale di armi italiano che avveniva in violazione agli embarghi internazionali. In Libano il capo centro del SISMI a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, era stato individuato da Graziella in un suo articolo su Paese Sera come “l’agente commerciale in Libano, con il compito di organizzare il traffico di armi per il Medio Oriente”. Paradossalmente, come in una tragedia greca, Giovannone sarebbe stato poi incaricato delle ricerche dei due giornalisti. Graziella aveva descritto in altri articoli come l’industria bellica italiana (la quarta produttrice di armi al mondo), controllata, oggi come allora, dall’azionariato di Stato, lavorava anche su brevetti statunitensi. L’Italia si trovava nella scabrosa posizione di fare il lavoro sporco, vendendo per conto statunitense a tutti i cosiddetti “Stati canaglia”. E a trarne profitto, trattandosi di operazioni coperte, furono in tanti.

Giunti in Libano, il giorno precedente alla loro scomparsa, i due giornalisti, essendosi deteriorati i loro rapporti con la componente principale dell’OLP, Al Fatah, si recarono per la prima volta dal loro arrivo, evidentemente molto spaventati, all’Ambasciata d’Italia, chiedendo espressamente di essere cercati se non fossero rientrati nell'albergo di Beirut, il “Triumph” (di proprietà e sotto il controllo dell’OLP), entro tre giorni. Il giorno seguente, 2 settembre 1980, avevano appuntamento con uomini del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, di Nayef Hawatmeh, per visitare il fronte di guerra e i campi d’addestramento dei Fedayn, nel sud del Libano, presso il castello di Beaufort. Una testimone italiana, Piera Redaelli, presente sulla Jeep del FDLP che avrebbe dovuto passare in albergo a prendere i due giornalisti, dichiarò di non averli trovati; ciò indica che, a causa di una trappola, i due giornalisti erano già stati rapiti da un gruppo di uomini armati. Gli addetti dell’Ambasciata lasciarono passare i giorni senza darsi cura del loro rapimento, fintanto che i familiari di Graziella, non vedendoli rientrare in Italia entro il 15 settembre, data stabilita, denunciarono alle Autorità la loro scomparsa.

Iniziarono immediatamente i depistaggi da parte di alti esponenti dei servizi segreti militari.  Personaggi, come il già nominato colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone, in servizio a Beirut come Capo Centro del SISMI, ed il generale Giuseppe Santovito, direttore del Servizio Segreto militare, crearono ad arte una falsa “pista falangista”, che avrebbe visto come autori del rapimento i falangisti di Bechir Gemayel, in realtà stanziati nella parte opposta di Beirut, cioè ad Est. Dagli atti processuali risulta che la Farnesina sollevò dall’incarico l'ambasciatore D'Andrea, che per primo aveva comunicato la responsabilità di Al Fatah nel rapimento dei due giornalisti, trasferendolo d’ufficio in Danimarca.

Dopo alcuni anni la Magistratura aprì un procedimento penale nei confronti di George Abbash leader del FPLP, per duplice omicidio, mentre il generale Santovito ed il colonnello Giovannone del SISMI vennero incriminati per favoreggiamento nei reati di sequestro e omicidio. Nell’indagine si ipotizzò che fossero stati rapiti prima del loro appuntamento con il FDLP, da membri del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina,  guidata da George Habbash. Tutto però venne coperto dal segreto di Stato, invocato dal colonnello Giovannone, che, durante il procedimento, smise di rispondere al Pubblico Ministero Giancarlo Armati. Il segreto venne quindi apposto dall’allora Presidente del Consiglio  Bettino Craxi. Il giudice istruttore Renato Squillante prosciolse Habbash per insufficienza di prove, mentre Giovannone e Santovito morirono per malattia, uno dopo l’altro, prima della conclusione del processo.

Come ben descritto dal giornalista e saggista Gian Paolo Pelizzaro:

“gli inquirenti avevano intuito, fin dalle prime battute dell’inchiesta, che la sorte dei due giornalisti spariti in Libano era intimamente connessa a questo intreccio di interessi non confessabili tra l’Italia e il terrorismo di matrice arabo-palestinese. Questo intrigo è passato alla storia come il «lodo Moro», ossia quell’accordo ultra segreto (tanto da dover essere protetto dall’istituto giuridico del segreto di Stato) voluto dall’allora ministro degli Esteri Aldo Moro per mettere al riparo il nostro Paese dalle rappresaglie e dai danni collaterali generati dal conflitto «asimmetrico» (o guerra «a bassa intensità») tra palestinesi e israeliani. Nella visione di Moro l’unica via d’uscita era quella di stringere un accordo con la dirigenza palestinese e concedere una serie di garanzie necessarie per garantire la sicurezza e la tutela degli interessi vitali dello Stato. Il «lodo» era protetto da un dispositivo di sicurezza che scattava ogni qual volta l’accordo veniva minacciato. Questo dispositivo, prevedeva varie misure operative, fra cui anche attività di deviazione e inganno nei confronti del governo e depistaggio nei confronti della magistratura. In estrema sintesi, a partire dalla fine dell’estate del 1972 fu in vigore un accordo tra governo italiano e organizzazioni terroristiche palestinesi finalizzato alla prevenzione e alla deterrenza di possibili atti terroristici nel nostro Paese. L’applicazione del «lodo Moro» da parte dei governi che si sono succeduti nel tempo, dal 1980 a oggi, ha avuto due effetti collaterali: da una parte ha impedito l’accertamento della verità e dall’altra ha creato le condizioni per una progressiva rimozione della vicenda di Graziella e Italo dalla memoria storica del nostro Paese”.

Graziella e Italo scoprirono  dunque una verità inconfessabile nel momento e nel luogo sbagliato. Tornare vivi in Italia e pubblicare queste notizie avrebbe contribuito ad acuire gli scontri negli anni di piombo.  L’accordo con l'OLP implicava appunto la tolleranza, da parte di alcuni apparati delle nostre istituzioni, dell'operato di organizzazioni terroristiche, come l'FPLP di George Habbash o il gruppo Separat di Carlos, lo sciacallo, e vedevano il Libano come un crocevia di scambio di armi che partivano dall’Italia verso tutti i regimi dittatoriali nel mondo. L’intera operazione di “scarico” dal ministero degli Esteri, istituzionalmente competente dell’incolumità degli italiani all’estero, ai Servizi Segreti, ebbe come regista il piduista Francesco Malfatti di Montetretto, segretario generale dello stesso ministero degli Esteri. Questo ha costituito un precedente per tutti i successivi rapimenti di italiani all’estero, generalmente liberati in seguito ad ingenti riscatti. Santovito e Giovannone in quanto militari senz’altro obbedirono a degli ordini superiori e dovettero depistare per salvare il "lodo" e quindi permettere all'Italia di salvarsi dal baratro.

Il 30 Settembre 2014 i familiari di Graziella sono stati ricevuti dal Presidente del COPASIR, senatore Giacomo Stucchi. Nei mesi successivi abbiamo avuto notizia di un incontro ufficioso tenutosi il 10 Novembre 2014 dall’ex-deputato Enzo Raisi con il Direttore del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), ambasciatore Giampiero Massolo. Sia il senatore Stucchi che l’ambasciatore Massolo ci hanno espresso il timore che il disvelamento di questo segreto di Stato che va a coprire i rapporti segreti con il terrorismo palestinese degli anni ’80, possa ripercuotersi negativamente sulla situazione odierna.

I due rappresentanti delle Istituzioni ci hanno fatto chiaramente capire che, con la minaccia del terrorismo dell’ISIS nei confronti dell’Occidente, ammettere un patto scellerato proprio con il terrorismo di allora, getterebbe grave discredito sulle Istituzioni italiane.

A nostro parere l’ammissione di questo doppio gioco nei confronti dei Paesi del Patto Atlantico, condotto dall’Italia tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, crea molto scompiglio tra chi dovrebbe fare chiarezza. Ciò potrebbe dimostrare che se trattativa ci fu negli anni ’70 con il terrorismo, è ragionevole pensare che lo Stato possa essere nuovamente sceso a compromessi con una trattativa tra Stato e mafia, logica conseguenza di un modo deviato e opportunistico di intendere la politica.

A questo proposito, il fratello di Graziella, Giancarlo De Palo, anche lui giornalista, ha scritto al Presidente del Consiglio Matteo Renzi un appello sul quotidiano web Libero Reporter e supportato da una petizione Avast, in cui non chiede “di rompere questo muro così ingiusto e prevaricatore nei confronti dei nostri diritti civili, ben consapevole del primato, in questo caso, della tutela della sicurezza nazionale” ma “l’immediato rimpatrio e restituzione di quel che resta di quei poveri corpi, affinché ci sia consentito di svolgere quel precetto di misericordia che consiste nel seppellire degnamente i propri defunti, e che c’è stato finora negato nonostante lo strapotere italiano sul piccolo Libano.”

Le medesime richieste sono state portate avanti, nello scorso mese di febbraio, all’atto dell’insediamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in una lettera-appello a lui inviata, in cui domandiamo al Presidente “il fattivo impegno affinché la verità storica sulla sorte di Graziella ed Italo possa essere finalmente conosciuta da tutti. Non chiediamo la riapertura di indagini giudiziarie o di commissioni d’inchiesta, che si sono arenate di fronte al segreto di Stato, quanto almeno poter riavere i poveri resti”.

Nel ringraziare immensamente la Presidenza di Libera per ciò che ha fatto per mantenere viva la memoria dei nostri cari e fare memoria delle vittime innocenti di tutte le mafie, chiediamo agli organi di stampa di farsi partecipi della nostra battaglia, in nome della verità, della giustizia e della pacifica convivenza tra le culture e le religioni di tutti i popoli.


I familiari di Graziella De Palo e Italo Toni

http://solangemanfredi.blogspot.it/2015/03/nota-stampa-caso-giornalisti-graziella.html

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