di Gaia Piccardi
LONDRA - A sette partite di distanza dal Grande Slam (quello vero, il piccolo miracolo che nel tennis femminile manca dal 1988: Steffi Graf), la vita è meravigliosa. Serena Williams si annette il sesto titolo di Wimbledon a distanza di 14 anni dal primo, il 21esimo del Grande Slam, dimostrando alla giovane Garbiñe Muguruza, 21 anni, la spagnola nata a Caracas (Venezuela) che è stata la vera rivelazione sui prati di Church Road, che cosa significa essere Serena Williams.
Potenza di fuoco
Potenza, carisma, controllo. La finale che ti aspetti - Serena che comanda e Garbiñe che si difende dalla raffica di pugni da fondocampo contrattaccando - dura due set mai veramente in bilico (6-4, 6-4), perché risalire da 1-3 a 4-4, e poi brekkare l’avversaria per andare a servire per il set è una di quelle specialità di casa Williams che nessuno si può permettere di sottovalutare.
Partita male, con un doppio fallo, Serena ha poi preso possesso del campo e del gioco, costringendo la Muguruza ad andare spesso fuori giri per tenere lo scambio supersonico con l’americana. Avanti 5-1 nel secondo, Serena si è distratta un attimo credendo di aver già vinto. Muguruza ha rimontato fino a 5-4, sparando missili terra-aria tra le righe del campo, ma la potenza di fuoco della Williams alla fine ha prevalso.
Verso l’Us Open
Tra sguardi di fuoco al coach-amante Patrick Mouratoglou e urla feroci, Serena sbrana quindi a 33 anni l’ennesimo record della sua personalissima leggenda e avanza, vento in poppa, verso quello Slam, da completare in settembre all’Us Open di New York, impresa tanto rara quanto difficile.
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