martedì 21 aprile 2015

La rivoluzione mobile di Google: priorità ai siti per smartphone e tablet

Ottimizzati per smartphone e tablet

Il giorno del giudizio. L’apocalisse mobile. Il Mobilegeddon, come è già stato ribattezzato in Rete. Martedì 21 aprile, Google aggiornerà in tutto il mondo il suo algoritmo di ricerca su mobile dando la priorità ai siti ottimizzati per smartphone e tablet. Questo vuol dire che un portale ben indicizzato e tradizionalmente posizionato in testa ai risultati potrebbe scivolare di numerose posizioni nelle ricerche se non risulta facilmente fruibile su piccoli schermi. Si tratta di una novità non da poco per tutte le realtà che si affidano a Google per attirare visitatori e, soprattutto, potenziali acquirenti di prodotti e servizi venduti online. Da parte sua il colosso californiano altro non sta facendo che adeguarsi alla crescita del traffico mobile, pari circa al 60% del totale.

Per i siti eternamente impegnati nella scalata dell’algoritmo, testi troppo piccoli, link non accessibili e proporzioni sballate a fronte di accessi da diversi dispositivi potrebbero tramutarsi in un crollo degli accessi. Come se, per fare un paragone con il mondo offline, la strada in cui si trova un negozio venisse chiusa da un momento all’altro. O meglio, due mesi dopo la richiesta del Comune di adeguare il punto vendita alle nuove regole della città. Google ha infatti comunicato l’imminente novità lo scorso febbraio http://googlewebmastercentral.blogspot.it/2015/02/finding-more-mobile-friendly-search.html
. “Ci siamo messi subito al lavoro e abbiamo rifatto interamente il sito”, dichiara al Corriere della Sera Virginia Scirè, fondatrice di Allegri Briganti, portale per la vendita di abbigliamento per bambini che da piattaforme mobili vede partire il 30% delle richieste di acquisto. Luca Carbonelli, direttore marketing di Caffè Carbonelli, non era a conoscenza della scadenza del 21 aprile ma da anni “è presente online con una versione del sito ottimizzata per il mobile. Abbiamo prevenuto la richiesta, con più della metà delle visite che arriva già da smartphone e tablet”. Secondo uno studio realizzato la scorsa settimana dalla società di mobile marketing Somo il Mobilegeddon è comunque un problema da non sottovalutare e in grado di mietere illustri vittime, come il sito di Ryanair o quello di Windows Phone, risultati non ancora pronti. Qui https://www.google.com/webmasters/tools/mobile-friendly/ si può verificare se il proprio sito è allineato .

In questo caso non si parla di concorrenza, ma volendo andare a fare le pulci a Larry Page e Sergey Brin ci si potrebbe interrogare sulle tempistiche concesse per adeguarsi a un rimescolamento delle carte che può davvero cambiare le sorti di un’azienda. Tornando alle perplessità comunitarie, basti pensare come LeGuide, una delle realtà che ha bussato alla porta della Commissione Ue per puntare il dito contro Google, lamenti una flessione dei ricavi trimestrali del 26% proprio a causa degli interventi di Mountain View sull’algoritmo. LeGuide è uno dei siti di comparazione prezzi che si sentono penalizzati dallo spazio concesso a Google Shopping, la funzione di che permette di trovare online il prodotto di proprio interesse con il cartellino più conveniente. Chi si rivolge al motore di ricerca per acquistare un maglione particolarmente a buon mercato se la trova a portata di mano, anzi d’occhio, e di click. “Diamo rilevanza a ciò che è più completo per l’utente. Se si tratta dei nostri servizi è perché riteniamo che offrano risposte migliori”, aveva spiegato nel 2011 il presidente ed ex amministratore delegato Eric Schmidt al Senato statunitense, animato dalle stesse perplessità dell’Unione europa. In sostanza: lo Stato (o la città) è nostro e noi decidiamo cosa offrire ai cittadini, che non pagano alcuna tassa, mettendo il loro benessere in cima alla lista delle priorità. Condivisibile o meno, con la fetta del mercato delle ricerche intorno al 90% in alcuni Paesi europei che fa da ago della bilancia, la stessa posizione non è assumibile quando si parla di Android e degli accordi stipulati con i produttori di dispositivi per allargare il campo d’azione dell’ecosistema. “Non sono esclusivi”, ribatte Google. Ma sono di fatto vincolanti per lavorare con il robottino verde.



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